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La regola del silenzio - The Company You Keep (Venezia 69 - Fuori concorso)

Una immagine tratta da La regola del silenzio - The Company You KeepRobert Redford ritorna dietro la macchina da presa con una pellicola sulla storia degli Stati Uniti. Fuggiaschi e inseguitori si alternano sullo schermo, alla ricerca della verità e di qualcos'altro

Jim Grant è un tranquillo avvocato di Albany, New York, rimasto da poco vedovo e con una figlia di 11 anni. Ha un passato da pacifista radicale che ha tenuto celato, fino a quando un giovane cronista, Ben Shepard, scopre un suo coinvolgimento in un'indagine di omicidio di trent'anni prima. Grant si dà alla fuga, per ricercare l'unica persona che può scagionarlo. E' inseguito da FBI e dal giovane reporter e da una verità che sta per venire a galla.
Presentato Fuori concorso alla 69esima Mostra del Cinema di Venezia, The Company You Keep (il cui titolo italiano è La regola del silenzio) dovrebbe essere, nelle intenzioni di Robert Redford, un film sul passato dell'America, su una zona grigia, che prepotentemente viene a galla. Allargando la riflessione tratta anche anche delle conseguenze delle scelte prese da giovane che ricadono inevitabilmente sul futuro.
Nessuno di questi temi si evince, né tanto meno si comprende che si tratta di un thriller. Il tutto è riconducibile alla scarsa intensità narrativa. La pellicola, che dovrebbe caratterizzarsi per un forte impatto emotivo, si presenta piatta e senza pathos. Non ci sono cambiamenti di ritmo, scelte registiche che possano impennare l'emozione in chi osserva; non c'è suspense nel seguire la fuga di Grant, lo stesso Redford, o la ricerca della verità di Shepard, Shia LaBeouf. Il pubblico si aspetta il colpo di scena che non arriva mai e anche il finale è scontato e prevedibile. Inoltre il film risulta verboso e i dialoghi prolissi al punto di distogliere da quegli elementi utili a capire le ragioni che spingono i due protagonisti a fuggire uno e inseguire l'altro. La loro caratterizzazione, in più, appare abbozzata e poco efficace; non si riescono a comprendere le motivazioni delle loro scelte; solo quelle di Grant sono chiare, ma quelle di Shepard non sono chiarite. In questa ricerca non aiuta il loro confronto con i co-protagonisti che appaiono sullo schermo senza un'adeguata introduzione narrativa.
Insomma i temi che vuole analizzare il regista si perdono in questa serie di inesattezze narrative. Così lo spettatore al termine del film è portato a domandarsi lo scopo della pellicola.

Non è un film di genere perché, come detto, non ne soddisfa i presupposti; non è un film su un pezzo di storia degli Stati Uniti perché tutto rimane immerso nella confusione narrativa, a tal punto che la lotta pacifica professata da Grant e dal suo gruppo è un flebile eco in lontananza. Quindi? Il motivo si cela nella mente di Robert Redford che riesce perfettamente in uno scopo: fissare nella mente e negli occhi dello spettatore le immagini della natura americana selvaggia e incontaminata da est a ovest che incornicia la fuga del protagonista.

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