17 ragazze
- Scritto da Chiara Bianchi
- Pubblicato in Film in sala
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Basato su un fatto realmente accaduto negli Stati Uniti qualche anno fa, il film viene però ambientato in Francia, nei luoghi che hanno visto crescere le due sorelle registe.
La sedicenne Camille rimane incinta e, invece che vivere questo evento come un ostacolo alla sua crescita, lo erge a primo passo verso la sua emancipazione; per fare ciò coinvolge, in quello che diventa un progetto di vita ben preciso e allargato, le sue amiche e compagne di liceo.
Gesto di ribellione? Politico, sociale? Il mondo degli adulti è attonito. Prova a capire e a cercare di spiegare la volontà comune di queste giovani donne che hanno deciso di condividere l’esperienza squisitamente femminile della maternità.
Trovare una motivazione logica non solo è impossibile ma addirittura improduttivo; la sensazione di potenza (leggi “potere” ma anche “potenzialità”) propria dell’essere giovani, il mondo degli adulti, con il tempo, inevitabilmente l’ha dimenticata.
Il messaggio del film è semplice, fresco ed immediato come le sue protagoniste: diciassette giovani donne quasi tutte alla prima esperienza sul grande schermo. Forse il film pecca un po’ nella velleità di rendere questa storia esemplare e simbolica di un’intera generazione, poiché la storia in sé non è così “epica”: è forte e significativa nel suo essere una piccola storia di provincia limitatamente all’ambito in cui è accaduta inevitabilmente e comunque toccato dalla Storia e dalle vicende mondiali (la crisi economica, la guerra in Afghanistan).
In questo caso, in cui il termine “limitato” fa rima con “autentico”, ritrova la sua corretta collocazione e la sua efficacia espressiva.
Nessun simbolo, nessuna allegoria, solo un gruppo di donne che cerca (ci riuscirà?!) un posto nel mondo con un respiro che sia il più dissimile possibile da quello scelto ed intrapreso dalla famiglie di origine. La motivazione iniziale è chiara nel suo “non essere uguale a…”: ma per essere come?
Ed è forse a questo punto che ha senso ampliare l’orizzonte azzardando una generalizzazione, con questa domanda appena posta, che abbraccia una intera generazione ma che ancora non ha avuto risposta.
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