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Mental (Festival di Roma 2012 - Fuori concorso)

Una scena da MentalUna stramba bambinaia giunge a portare l'ordine in una bizzarramente normale cittadina australiana, e ci insegna che conformarsi senza riflettere a una presunta normalità nasconde pericoli e potrebbe fare di noi dei matti, matti veri. Commedia al femminile gustosa e sincera, che tra picchiatelli, cittadini modello e uno squalo imbalsamato stupisce e conquista il cuoricino

Come la stramba protagonista Shaz avrà modo di spiegare al pubblico in una delle scene chiave del film, contrariamente a quanto si crede (e cioè che il Paese sia stato popolato per primo come colonia penale dell'Impero di Sua Maestà Britannica) l'Australia moderna nasce come terra di esilio di matti e squilibrati vari allontanati dalle colonie del Commonwealth. Nessuna meraviglia dunque, che i loro discendenti odierni, ghettizzati (più) o assorbiti (meno) gli aborigeni, siano affetti da tare mentali le più varie e bizzarre. Mental infatti prende il la nella fittizia benché australianissima cittadina di Dolphin Head, con la storia di una famiglia composta da padre (assente), madre (un po' sopra le righe) e cinque figlie di pelo rosso e soprattutto convinte di poter giustamente vantare al mondo ognuna una psicopatia differente (variando dall'asocialità, al bipolarismo, alla schizofrenia), ma mostra presto come anche gli altri membri della comunità – non meno australiani della famiglia Moochmore di cui sopra – vivano le proprie cadute quotidiane nel mondo della paranoia e del comportamento compulsivo.
A mettere 'ordine' in questo contesto, deve arrivare la figura fortemente disallineata eppur ambigua di Shaz: sulla quarantina, jeans attillato, camicetta frufru, stivalone di cuoio, capello selvaggio, una vaga passione per l'erba (ma non quella dei prati), e un cane che di nome fa Squartatore. Il tipo in questione finisce per caso o per destino a far da bambinaia alle cinque inquiete ragazze Moochmore, quando la madre – complice la campagna elettorale per farsi rieleggere sindaco – viene affidata a una clinica psichiatrica dove non possa nuocere alla carriera del marito. Visto il carattere di Shaz, il passo da bambinaia a mentore di una nuova rivoluzione della non conformità alla normalità come valore (da cui il discorso introduttivo sulla fondazione dell'Australia), è breve, brevissimo.
P. J. Hogan racconta con l'occhio di quello che certi aspetti ed effetti della marginalizzazione e della malattia mentale li ha visti dal vivo e dal vero (e c'è un pizzico di autobiografia nelle storie della famiglia Moochmore, infatti), e Mental ne esce un film sincero e frizzante, tutto o quasi al femminile, capace di far ridere e sorridere, ma anche di mostrare con sottile ironia il limite labile tra 'normalità' e 'psicopatia', e infine di coinvolgere dal punto di vista drammatico.

Leggero, ma quando serve sa anche affilare il coltello e affondarlo per il colpo conclusivo, complice nientemeno che uno squalo imbalsamato. Peccato solo per quel finale di troppo che entra un po' a gamba tesa in quanto costruito sino a trenta secondi prima, ma anche così Mental è una commedia gustosa e verace, e che – soprattutto – mostra di aver qualcosa da dire.

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