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L’Étrange Couleur des Larmes de Ton Corps - Recensione

Caleidoscopio di suoni e immagini e vertigine dei sensi, il secondo film di Cattet e Forzani parte dalla scomparsa di una donna e dalla ricerca che il suo uomo intraprende tra le mura del palazzo dove vivono, e approda al delirio sinestetico e architetturale in una floreale apoteosi di un cinema che ancora si ostina a non morire e prova a riformarsi

Il fascino è il risultato di una sapiente mistura tra mistero e attrazione estetica, e la coppia ben assortita composta da Hélène Cattet e Bruno Forzani, dopo il debutto con il bell’omaggio argentiano di Amer, ne fa sfoggio anche con questo secondo film, affascinante sin dal titolo: L’Étrange Couleur des Larmes de Ton Corps, arrivato in Concorso all’ultimo Festival di Locarno e pronto ad approdare tra pochi giorni in Italia al Trieste Science + Fiction - Festival della Fantascienza.
Cattet e Forzani, francesi d’origine ma di stanza a Bruxelles, sono due giovani fanatici del buon giallo nostrano del tempo che fu - qualcosa che dalle nostre parti più non è, malgrado gli stanchi sforzi recenti dello stesso Dario Argento e il revival mezzo abortito del Tulpa di Federico Zampaglione – e si vede in ogni angolo di inquadratura e ogni scelta sonora, qui come nel precedente Amer. Il loro cinema, tuttavia, non sembra proprio fermarsi alla dimensione dell’omaggio, o della riproposizione di stilemi del già visto, ma – e in L’Étrange Couleur des Larmes de Ton Corps la cosa emerge evidente – usa quegli elementi di base come ingredienti comunicativi di una destrutturazione (decodifica) del genere fatta attraverso architetture audiovisive organiche, architetture costruite al servizio del (sotto)tema erotico e della sua basilare ancestralità: la donna, l’uomo, il dentro, il fuori, il corpo, l’occhio.
La storia raccontata è semplice: un uomo che rientra a casa, scopre che la moglie è scomparsa e intraprende una ricerca che lo porterà a scoprire angoli della sua vita e di quella della moglie sino ad allora celati dietro a porte ben chiuse. Nonostante la semplicità della trama, il film è virtualmente non-raccontabile: un bombardamento audio-video di stimoli e traumi per occhi e orecchie, un’accumulazione quasi parossistica di suggestioni sensoriali e spezzoni di storia che galleggiano sotto le palpebre ben prima che nella mente. Il caleidoscopio di occhi, lame, guanti, buchi, intercapedini nei muri, interni che si rovesciano all'esterno, stridii, fruscii, tacchi che (ri)suonano sui pavimenti. E poi c’è un campionario di donne in pericolo, con in testa la bionda Laura, colei che sfugge alle definizioni degli uomini che l’hanno cercata negli anni, e getta un ponte tra il giallo e il sogno lynchiano che si fondono dentro al corpo di L’Étrange Couleur des Larmes de Ton Corps.
Se si fa presto a dire cosa racconta e non è possibile dire (qui ed ora, per iscritto e lontano dalla sala) come lo racconta, l’esercizio probabilmente più fruttuoso del dopo visione è quello di concentrarsi a parlare di cosa sia questo film, di cosa ne componga (appunto) il corpo vivo: un progetto Art Nouveau, un organismo palpitante fatto di scene (anti)narrative e scelte estetiche, in cui il protagonista stesso è l’ambientazione del film, quel palazzo misterioso, vivo, malato e capace di contagiare coi suoi tralci floreali le marionette che si muovono al suo interno, convinte di vivere ma in realtà più simili a criceti in una ruota che a esseri umani. Ognuno, a suo modo, alla ricerca (inconsapevole, per quasi tutti) di una via d’uscita impossibile, impossibile come il Minotauro, qualcosa che la mente rifiuta come aberrante, ma che è al centro del labirinto, del mito e dell’arte.

E allora, una possibile conclusione-chiosa al film, per quanto non risolutiva del mistero che ci sta dentro, ce la forniscono le parole di Henry van de Velde, uno dei padri dell’Art Nouveau, guarda caso belga: "E' mia intenzione rimpiazzare i vecchi elementi simbolici, che oggi hanno perso la loro efficacia, con una nuova, imperitura bellezza, all'interno della quale l'ornamento non ha una vita a sé, ma è dipendenza delle forme e delle linee dell'oggetto stesso che orna, dal quale esso riceve la propria sistemazione e funzione organica".

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