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Trash Humpers

C'è l'orrendo, il disgustoso e il non guardabile. Trash Humpers, quarto lungometraggio di Harmony Korine, va visto solo una volta sia perché troppo estremo e sia perché apre orizzonti di riflessione unici e irripetibili

Ci sono tre uomini di cui uno paralitico, e una donna senza un braccio dall'aspetto deforme: sono sfatti come i peggiori freaks. Si aggirano di notte in una città americana simulando (o lo fanno sul serio) amplessi con alberi e bidoni. Bevono smodatamente, fumano sigari, sculacciano prostitute di grossa stazza, mangiano su piatti conditi con detersivo, fanno scoppiare petardi e ballano il tip tap. Come se non bastasse, picchiano e uccidono selvaggiamente i vicini di quartiere mentre declamano poesie alcoliche accompagnati da una chitarra.
Sembra che Harmony Korine sia tornato indietro. Dopo la bella e profonda esperienza di Mister Lonely e prima del demenziale e realistico Spring Breakers - Una vacanza da sballo, il regista americano pare voltarsi indietro e guardare alle origini. Trash Humpers, del 2009, è un film senza trama. È come se fosse stato girato da un tizio che filma, con una vecchia macchina da presa a VHS illuminato da una torcia, siparietti deliranti e fuori dal comune di quattro personaggi dall'aspetto inquietante. La pellicola sembra un'allucinazione avuta da Korine durante una passeggiata notturna in quei contesti da reietti che a lui piacciono tanto, in cui la luce dei lampioni illumina di taglio personaggi senza vita relegati nell'oscurità.
Se la visione di Julien Donkey-Boy con la camera a mano era al limite della sopportazione visiva, Trash Humpers esce abbondantemente dal concetto di filmabile. È un delirio visivo di azioni idiote e deviate di persone appartenenti a una società in estremo decadimento. Allo stesso tempo, però, questa pellicola è figlia della critica estremizzata di Korine alla civiltà consumistica ridotta in macerie. In una delle canzoni cantate dagli Humpers, infatti, si ascoltano parole di denuncia contro l'uomo e la sua spasmodica ricerca del denaro, della comodità, del lusso; l'uomo, recitano i protagonisti, deve tornare alla essenza della sua natura e riprendere la sua vita reale. Ecco che torna nell'horror visivo la filosofia del regista americano, il suo marchio di fabbrica, la sua aperta e dissacrante accusa nei confronti della vita di plastica dell'uomo di oggi e dell'americano medio in particolare. In Trash Humpers lo accusa di vivere fintamente e lo vuole mettere concettualemente in crisi. La pellicola, attraverso l'uso di immagini di uomini ridotti come animali senza dignità e cervello, stimola così tanto chi guarda da condurlo alla riflessione se davvero tutto quello può esistere. Per questo il regista filma il tutto come un filmino fatto in casa: perché vuole dare prova che quel modo di vivere può essere reale. Vuole autenticarlo e conferirgli un alone di possibilità reale.

Korine
, insomma, non compie un passo indietro nello sviluppo concettuale del suo cinema, anzi si evolve. Diventa solo più estremo visivamente. Un po' troppo, tanto da allontanare anche il più attento osservatore dal messaggio del film in quanto distratto e disgustato da ciò che osserva.

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