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Julien Donkey-Boy

Secondo appuntamento con il cinema di Harmony Korine. I freaks ci sono sempre, l'emarginazione domina sovrana, ma sembra esserci un po' più di vita vera. In Julien Donkey-Boy i protagonisti sono un ragazzo e il mondo che vive nel suo animo

Julien è schizofrenico. Quando non lavora come volontario in una clinica per ciechi, si aggira per i boschi alla ricerca di tartarughe oppure frequenta le comunità religiose e canta insieme ai fedeli la sua gloria a Dio. Poi torna a casa e incontra la sua famiglia. Non ha madre e il padre è un anziano individuo che impartisce, con ordini e disciplina, il suo personale codice di vita all'altro figlio maschio ginnasta-lottatore ossessionato dalla voglia di essere un vincente. Poi c'è Pearl, la sorella. Suona l'arpa ed è incinta, ma non vuole rivelare l'identità del padre. In questo contesto suburbano di periferia americana i pensieri confusi e vaghi di Julien si espandono e configurano un mondo distante dall'ordinario in cui la danza sui pattini rappresenta l'unico momento di reale pausa e quiete.
Julien Donkey-Boy è la storia vera di un ragazzo asino. Asino per chi? Per la società americana di fine Novecento (il film è del 1999) per cui l'emarginato più grande è un malato di mente, uno schizofrenico, portatore di un disagio sociale forte. Qui il cinema di Harmony Korine si evolve da un'analisi di un intero contesto sociale di emarginazione, Gummo, all'attenzione dedicata a un solo emarginato. Julien Donkey-Boy è un ritratto vero e puro di una persona isolata dal mondo ufficiale la cui vita è stata relegata ai margini della società civile.
Il regista, quindi, desidera proporre un documento e per questo utilizza la tecnica del Dogma 95. Non adotta particolari scelte stilistiche: non c'è scenografia; non ci sono effetti speciali, ma solo la camera a mano con cui il regista segue la vita del protagonista. La filma in tutte le sue azioni, in tutti gli incontri con il mondo di esclusi e freaks. Korine lascia che il pensiero schizofrenico di Julien si esprima liberamente, ponendosi al suo fianco senza interromperlo, né quando urla la sua gioia o il suo disagio, né quando interagisce con gli altri. Ewen Bremner, Julien, offre un'interpretazione straordinaria perché libero di poter materializzare come meglio crede, senza costrizioni cinematografiche, la vita del protagonista. In alcuni momenti però Korine esce dal Dogma per proporre quel fuori fuoco che in Gummo aveva dedicato ai pensieri più intimi dei protagonisti. In Julien Donkey-Boy, invece, il regista utilizza questa tecnica per ritrarre delle scene di danza sul ghiaccio accompagnate dalla splendida aria di una cantante lirica. Korine sceglie questo ballo come collante della storia e metafora di quella dolcezza autentica che Julien utilizza per tenere insieme la sua famiglia angosciata dalla durezza di un padre pazzo quanto il figlio, interpretato da un sorprendente Werner Herzog.

Il valore cinematografico di Julien Donkey-Boy risiede nella raffinata di capacità di Korine di esprimere un particolare ed autentico mondo personale con estrema semplicità artistica e un'infinita dolcezza nonostante lo inserisca in un duro e repressivo contesto di emarginazione sociale.

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