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Quattro notti d'autore

"Aprirmi ad un'altra dimensione, rompere gli schemi della prigione testuale: il cinema non è solo testo": il regista Fabrizio Ferraro ci parla della sua visione di Quattro notti di uno straniero, un film in bianco e nero dai tempi dilatati, con dialoghi ridotti all'osso, atipico per il cinema italiano

Uscirà a San Valentino: una data quantomeno singolare questa per Quattro notti di uno straniero, presentato al cinema Quattro Fontane di Roma. Dopo la proiezione, il regista Fabrizio Ferraro ha parlato della sua visione del film alla stampa. Una visione che ha lasciato perplessi i più, tanto da portare il regista a rompere il ghiaccio glaciale creatosi durante la post-proiezione e ad aprire lui stesso la conferenza stampa.

Fabrizio Ferraro: "Questo film si confronta con cose molto importanti per il cinema, per esempio Bergman. Il mio intento era quello di aprirmi ad un'altra dimensione, di rompere gli schemi della prigione testuale: il cinema non è solo testo. Il mio era un tentativo di sviluppare il film su un piano puramente ottico-poetico. E' la totalità ottica della nostra città che deve fare da padrone. Ho usato gli stessi luoghi doppioni del mio precedente film, e l'ho girato in tre giorni, dopo però quattro mesi di sopralluoghi. Credo che al cinema d'oggi si ascoltino solo storie, che sono sempre le stesse. In questo modo 'l'umano' non viene più fuori. Volevo far vedere cose che accadono simultaneamente, cose quasi insostenibili per i sensi. Volevo questo: mettere in crisi i sensi sopiti, attraverso inquadrature lunghe anche dieci minuti.

Ferraro, questo sembra un film sulla luce, su una sorta di idea di liberazione. Ad un certo punto il tuo protagonista corre e fugge via dall'inquadratura: come mai questa scelta?
F.F.:
E' difficile dire perchè. Nel cinema c'è una possibilità enorme di apertura, ma di questa apertura abbiamo paura. Il cinema è una prigione che va da A a B e nessuno tenta di indagare cosa succede quando l'essere umano arriva a B. Diciamo che ho girato questo film simile a come si esegue un'improvvisazione jazz. E' una fusione tra umano e luogo, tanto interno a quel posto da esserne quasi straniero. Comunque andremo in sale in cui di solito si vedono altri tipi di film, l'abbiamo già sperimentato e di solito accadono cose straordinarie.

Come mai girare a Parigi, benché lei sia italiano?
F.F.:
Parigi la conosco meglio di Roma, in Parigi c'è un'urbanizzazione molto forte. Il mio non è un amore per questa città, ma un confronto che in un certo senso è anche cinematografico.

 

Vuole parlarci dell'uso della musica?
F.F.:
Ho usato la musica come se fosse un passaggio di vento, che lavora da contrasto. Non voglio spiegare però il perchè ho usato certe tipologie musicali. Vorrei solo aggiungere che il film uscirà in venti sale in Italia.

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