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Intervista a Sofia Coppola per The Bling Ring

“L'ossessione per le celebrities, il fascino che esercitano sui giovani, non fa altro che crescere sempre di più. È un aspetto della cultura americana che sta toccando estremi preoccupanti ed è quello che volevo analizzare con il mio film”: intervista a Sofia Coppola che ci parla di The Bling Ring

Dopo il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia per Somewhere, Sofia Coppola torna in Italia, la terra che ha dato i natali alla sua famiglia, per presentare The Bling Ring, la sua ultima fatica transitata allo scorso Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard. Un film che riporta il cinema della Coppola ad altezza del mondo giovanile, già esplorato nella prima esperienza dietro la macchina da presa della regista, con quel Giardino delle vergini suicide che la portò al centro dell’attenzione non più solo come la figlia del grande Francis ma anche come una dei talenti più promettenti del panorama indie cinematografico.
Dietro i giovani protagonisti di The Bling Ring – nelle sale il 26 settembre in circa 300 copie – c’è un fatto di cronaca: la storia vera di un gruppo di amici dediti a una lunga serie di furti nelle ville delle celebrities di Los Angeles (tra le vittime Orlando Bloom, Paris Hilton, Lindsay Lohan). Ragazzi che nutrono una vera ossessione per le star al punto da impossessarsi dei loro vestiti, soldi, gioielli, senza curarsi delle possibili conseguenze dei loro gesti perché hanno un solo scopo nella vita: mostrarsi alla comunità a cui appartengono come le celebrità che idolatrano.
Abbiamo discusso del film con Sofia Coppola nel corso di un incontro alla Casa del Cinema di Roma.

Gli eventi del film si svolgono tra il 2008 e il 2009, proprio nel momento dello scoppio della crisi. Dopo il periodo della depressione economica, è cambiato qualcosa nel panorama sociale delle celebrità?
S.C.: Per quanto ne so io, l'ossessione per le celebrities, il fascino che esercitano sui giovani, non fa altro che crescere sempre di più. È un aspetto della cultura americana che sta toccando estremi preoccupanti ed è quello che volevo analizzare con il mio film, che parla anche di come i ragazzi non abbiano famiglie che possano sostenerli e inculcare dei valori. Lungi da me però fare una generalizzazione della gioventù americana. Ciò detto, non credo che la crisi abbia avuto un impatto, anzi…

Da Il giardino delle vergini suicide a The Bling Ring, cosa è cambiato nel mondo dei giovani oltre al tipo di famiglia e di società in cui crescono?
Ne Il giardino delle vergini suicide i personaggi erano ragazze innocenti, mentre in The Bling Ring i protagonisti non lo sono affatto. I due film parlano di adolescenti in situazioni temporali diverse. In questo ultimo lavoro ho cercato di mostrare più che altro cosa sta succedendo nella pop-culture americana.

Fin dove possono spingersi i ragazzi nel prossimo futuro? Qual è la sua visione del loro domani?
Be’, bella domanda, anch’io me lo chiedo. La storia che ho portato sullo schermo ha un che di fantascientifico: vedere il modo in cui questi ragazzini seguono la pop-culture è stato sorprendente. Difficile prevedere il futuro... Sono mamma di due figlie e mi preoccupo per il loro domani. Se questa pop-culture crescerà ancora e ci sarà una reazione collettiva, forse si passera a qualcosa di diverso.

Cosa ne pensa della tendenza di molti film americani ad affrontare storie che parlano di generazioni di giovani senza virtù?
Sicuramente il disagio degli adolescenti, la mancanza di valori, è qualcosa di cui si parla da sempre, è un tema ricorrente che non ho toccato io per prima. Il mio film, però, vuole concentrare l’attenzione sugli eccessi di una pop-culture che gronda ossessioni, come quella di condividere ogni istante della propria vita sui social network. Mi interessava gettare uno sguardo su tutto questo e vedere la reazione del pubblico.

Da un punto di vista stilistico sembra esserci un certo distacco nel modo in cui vengono osservati i protagonisti, come se il pubblico non dovesse sentirsi partecipe delle loro azioni.
È una scelta che ho ponderato con attenzione. Volevo che il pubblico seguisse la storia ma allo stesso tempo pensavo fosse importante anche un certo distacco emotivo in modo da non sviluppare un’empatia con i personaggi che avrebbe potuto trasformarli in una sorta di eroi.

Come si è avvicinata a questo mondo giovanile?
Per prima cosa ho parlato a lungo con Nancy Jo Sales, la giornalista di Vanity Fair che si è occupata del caso. In seguito mi sono rivolta alla figlia adolescente di una mia amica, che mi ha aiutato a scoprire lo slang dei giovani e alcune dinamiche del loro mondo. Ho anche incontrato i veri protagonisti della storia e ho letto le deposizioni della polizia che ha indagato sui furti fino al momento dell’arresto dei colpevoli e delle loro condanne.

Lei ha vissuto per un periodo a Parigi. Questa esperienza le ha dato la sensibilità giusta per guardare l’America con uno sguardo diverso?
In un certo senso sì. Quando sono tornata a New York dopo aver trascorso diversi anni a Parigi, ho notato che la cultura pop era esplosa tanto da portare alla nascita di una serie di tabloid che prima non esistevano. Vivere al di fuori della realtà americana mi ha dato la possibilità di sviluppare uno spirito di osservazione più oggettivo su certi problemi del mio Paese.

È vero che per prepararsi al film gli attori si sono intrufolati nelle case dei suoi amici?
Sì, è vero, prima delle riprese abbiamo fatto in modo che gli attori passassero del tempo insieme. Tra le attività che avevamo programmato c’era quella di farli intrufolare nelle case di alcune persone per cercare di far capire al cast cosa si può provare ad entrare abusivamente in una casa. Si trattava però di abitazioni di amici, che si sono prestati al gioco.

Che tipo di rapporti ha avuto con le star vittime dei furti?
Non ho avuto alcun contatto con loro, tranne che con Paris Hilton, che ha collaborato al film. Ho preferito non coinvolgerli nel progetto per mantenere una certa distanza, cosa che mi ha permesso di avvicinarmi di più alla prospettiva dei ragazzi.

Nel film vediamo i giovani protagonisti che si introducono nelle case delle star dalla porta principale o da una finestra, senza alcun tipo di sforzo. Ma è così facile entrare nelle abitazioni americane?
Credo che sia una cosa tipica solo di Los Angeles e di alcuni quartieri in cui le persone vivono in una comunità che li fa sentire protetti. A New York non è così. Credo però che almeno Paris Hilton abbia smesso di lasciare le chiavi sotto lo zerbino.

Qualcuno dei veri protagonisti della storia ha visto il film?
Sì, l’unico ragazzo che faceva parte della cosiddetta banda del Bling Ring, lo ha visto. Mi ha detto che la recitazione dell’attore che lo interpreta (Israel Broussard, ndr.) lo rispecchiava bene.

È vero che lei fa un rito scaramantico sul set dei suoi film prima dell’inizio delle riprese?
Confermo, l’ho ereditato da mio padre che lo faceva sui suoi set. Ormai è diventata una tradizione di famiglia!

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