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Far East Film Festival 2019: intervista a Oliver Siu Kuen Chan e Crisel Consunji

Incontro con Oliver Siu Kuen Chan e Crisel Consunji, regista e protagonista di Still Human che ha trionfato al Far East Festival 2019. Il lavoro di preparazione, quello sul set e la collaborazione con Anthony Wong

Hanno conquistato il Far East Festival 2019. E non solo perché Still Human ha vinto questa edizione. Oliver Siu Kuen Chan e Crisel Consunji hanno incantato Udine anche con le loro parole, la loro carica umana. Dopo un corto realizzato all’interno del programma Fresh Wave per i giovani autori, Oliver Siu Kuen Chan ha vinto il concorso di sceneggiatura First Feature Film Initiative che permette di avviare la produzione di lungometraggi con nuovi registi. Così ha potuto realizzare Still Human, che prima di trionfare a Udine aveva già fatto incetta di premi tra gli Hong Kong Film Awards e gli Asian Film Awards. Come protagonista femminile ha scelto Crisel Consunji, attrice e cantante teatrale impegnata anche nella gestione di centri educativi per la prima infanzia a Hong Kong, al debutto sul grande schermo. E non si è sbagliata. La splendida interprete filippina forma con Anthony Wong una coppia perfetta. Per un delicato racconto di amicizia tra un uomo rimasto invalido per un incidente sul lavoro e la sua badante, un’immigrata filippina che sogna di diventare fotografa.

Prima domanda per la regista. È anche sceneggiatrice, come nasce questa storia?
Qualche anno fa, guardando per strada molti anziani e gli stranieri che se ne prendevano cura. Ma soprattutto mi aveva colpito, nel mio quartiere, un uomo disabile che con la sua sedia a rotelle portava in giro una ragazza. Non era lei che spingeva, ma lui che guidava. Ho pensato a quanto fosse dolce la loro relazione. Questo è stato lo spunto iniziale che mi ha portato a scrivere la storia di un uomo costretto sulla sedia a rotelle e della sua badante straniera, filippina. E attraverso questo racconto volevo sottolineare come ogni persona, in qualsiasi circostanza si trovi ad affrontare nella vita, abbia il diritto di sognare e aspirare alla felicità. Comprese le persone disabili e quelle appartenenti a minoranze, spesso emarginate.

Un film che mostra una realtà diversa da quella che siamo soliti vedere nei film di Hong Kong.
Parte del film è ambientata dove sono cresciuta. L’ho scelta perché volevo mostrare lati diversi di Hong Kong, quelli dove vivono gran parte delle persone, invece delle zone che si vedono sempre nei film.

Che tipo di ricerca, di preparazione, avete svolto come autrice e come interprete?
Oliver Chan: Sono andata da diverse associazioni di Hong Kong che aiutano le persone disabili e parlato con molti assistenti. Lì per esempio ho visto una signora minuta, più bassa di me, che si prendeva cura di un uomo alto e grosso, più grande di Anthony, che con orgoglio mi ha detto: “In dieci anni non l’ho fatto mai cadere sul pavimento”. E in quel momento ho pensato di mettere una scena simile nel film. Ma soprattutto mi hanno ispirato le persone in sedie a rotelle che ho incontrato, con il loro umorismo. In generale pensiamo ai disabili come persone tristi che si piangono addosso, ed è stato impressionante vederli condividere tutti i lati positivi e le sfide delle loro vite. Ho anche parlato con collaboratrici domestiche che dopo aver lavorato dal lunedì al sabato, dedicano la domenica all’hobby della fotografia come mezzo d’espressione. Le foto presenti nel film sono di una di loro. Incontrare tutte queste persone mi ha davvero aiutato molto. Sebbene la storia sia originale, ho messo nella sceneggiatura diversi dettagli che ho imparato da loro.
Crisel Consunji: In realtà questo progetto per me non è stato un semplice lavoro di recitazione, l’ho visto come un’azione sociale per le persone che rappresento ed è come se mi fossi preparata per questo da quindici anni. Ho un master in Scienze politiche e ho studiato il fenomeno della migrazione di grande rilevanza per le Filippine. Quando sono arrivata a Hong Kong, mi interessava capire come si sentono e come vivono i migranti. Ho sentito le loro storie, fatto diversi seminari per la comunità. E quando sono arrivata a questo progetto, mi è bastato ricordare quelle storie.

Per questo ha accettato di far parte del progetto?
Mi sono sentita moralmente obbligata ad accettare. È giunto il momento in cui le storie di persone ai margini vengano portate alla luce e volevo essere parte di questo processo. E poi ho sentito subito che la regista avrebbe trattato la nostra storia con integrità e rispetto.

Com’è stato dividere la scena con un grande attore come Anthony Wong?
In realtà non lo conoscevo, all’inizio non sapevo chi fosse!

Davvero?
Oliver Chan: Ho detto a Crisel che nel progetto c’era una grande star, ma lei non ha capito quanto fosse famoso fino a quando un giorno siamo andati a girare per strada e vedendo Anthony tante persone si sono messe a urlare, circondandolo per una foto e interrompendo le riprese.

E quando ha pensato che Anthony Wong sarebbe stato l’interprete ideale del suo film?
Quando stavo scrivendo la sceneggiatura non pensavo a nessun attore in particolare, ma quando l’ho finita e l’ho riletta mi è venuto in mente Anthony Wong. Recita spesso in ruoli da violento o rozzo,  ma nelle interviste vedi al contrario una persona gentile e ironica. Ho pensato quindi che forse il pubblico avrebbe voluto vederlo così, fragile ma allo stesso tempo forte e gentile. All’epoca non conoscevo Anthony di persona, mi sono fatta dare i suoi contatti e gli ho inviato molte informazioni su di me, il progetto, la sceneggiatura. Dopo un po’ di giorni mi ha risposto, generosamente: “So che hai un piccolo budget, lo farò gratis”.

Oltre a un grande attore come lui ha potuto contare come produttore su altro nome importante del cinema di Hong Kong: Fruit Chan.
Per me è come un mentore, mi ha aiutato tanto. Senza forzarmi, lasciando sempre decidere a me come regista.

Ma com’è la situazione di sostegno ai giovani talenti oggi a Hong Kong?
Tanti autori e produttori sono andati nella Cina continentale e non passando molto tempo a Hong Kong le giovani generazioni avevano un po’ perso l’opportunità di imparare accanto a loro. Per fortuna le autorità e alcune case di produzione cinematografica per migliorare la situazione hanno pensato a concorsi come FreshWave e quando hanno visto che i giovani facevano buoni corti hanno pensato anche a finanziare lungometraggi con programmi come il First Feature Film Initiative. Non si tratta solo di soldi, ma di essere seguiti e aiutati durante tutto il processo di realizzazione di un film.

E quali sono stati le maggiori difficoltà nella realizzazione di questo film?
Oliver Chan: Le risorse non erano tante. Avevamo un budget limitato e non potevamo ottenere più fondi, come previsto dal concorso First Feature Film Initiative. Vogliono originalità e che il progetto non sia influenzato da finanziamenti commerciali. Inoltre la troupe era formata da tanti giovani, anche loro al primo lungometraggio come me, e ho quindi dovuto gestire diverse persone che non avevano grande esperienza. Alla fine, comunque, è andata bene. La maggiore difficoltà è stata dover girare in pochi giorni, meno di tre settimane.
Crisel Consunji: Sì, è stato molto impegnativo. Abbiamo girato in diciannove giorni, senza sosta. Fisicamente è stato estenuante. Poi faceva freddo e abbiamo anche dovuto far finta fosse estate quando invece era inverno. Abbiamo girato a dicembre. Il pallore del mio viso nel film deriva dal fatto che avevo davvero freddo!

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