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All Apologies (Asian Film Festival 2013 - In concorso)

Emily Tang firma la sua opera più matura e composta. Il racconto è asciutto, partecipe e misurato ma della rabbia e della disillusione dei primi due film non rimane più niente

Terzo film della regista del Sichuan Emily Tang e primo film che passerà positivamente le severe maglie della censura cinese. E si capisce perché. Alla descrizione angosciante di certe periferie urbane, sporche, ghiacciate e ostili dei suoi primi due film si sono sostituiti laghetti assolati, rassicuranti realtà rurali e ambienti cittadini puliti e occidentalizzati. Al racconto impietoso e corale delle vite disilluse e ubriache degli sconfitti post Tienanmen di Conjugation, ai ritratti grotteschi, insensati e ‘normali’ delle due anime di A Perfect Life, si è preferita la storia vera di uno stupro anormale e di un umanamente impossibile rapporto fondato su lutto e violenza, dipinto a tinte pastello o con pure l’epilogo punitivo, da parte delle istituzioni, narrato prima dei titoli di coda.
Il giovane figlio di Yonggui, piccolo imprenditore edile, viene ucciso in un incidente stradale causato dalla guida distratta del vicino Henan. Yonggui, avendo saputo che la moglie è stata sterilizzata, in un delirio etilico di dolore, stupra, col folle pensiero di ricavarne un figlio, Quaoyu, la moglie di Henan, che effettivamente rimane incinta. Su richiesta e con l’aiuto di Yonggui, la donna decide di portare a termine la gravidanza in segreto per saldare il debito di sangue contratto dal marito.
La maturità registica della Tang è evidente in ogni singolo fotogramma. Non deve dimostrare con inquadrature sghembe o l’uso forsennato della camera a mano di avere originalità e carattere. Domina la storia con continuità narrativa incalzante e, in alcuni momenti, con una delicatezza e attenzione nel delineare la psicologia dei personaggi che le evitano lo scivolo nel drammone popolare più bieco.
Ma dove sono finite le sorprendenti invenzioni di sceneggiatura del film precedente? Dove quei tocchi di autoironia che rendevano più vere di quelle documentaristiche, le estrose femminili sortite della parte fiction?
Che si sia conciliata con il potere o che la rabbia di un tempo sia svanita con la maturità, quello che si avverte è un’omologazione verso uno standard narrativo, se pur alto, già consumato. Lo sguardo non graffia più, accarezza. E senza passione e furore non si ama o non si odia più, ci si vuol bene, si diventa riformisti.

All Apologies ha vinto il premio del pubblico dell’undicesimo Asian Film Festival. Forse perché anche Reggio Emilia, ultimo baluardo del comunismo emiliano, è diventata ormai una città moderatamente progressista.

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