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Across Asia Film Festival 2019: intervista a Shireen Seno

“Studiavo architettura, fino a quando mi sono resa conto che a interessarmi erano soprattutto gli spazi e le strutture dentro di noi: i sogni, i ricordi”.  Il cinema secondo la regista filippina Shireen Seno, ospite dell’Across Asia Film Festival

Nel 2018 l'Across Asia Film Festival aveva proposto il suo bel film Nervous Translation, reduce dagli apprezzamenti a importanti concorsi in varie parti del mondo, dal Rotterdam International Film Festival al Torino Film Festival. Dodici mesi dopo Shireen Seno è arrivata in Sardegna, con il marito e collega John Torres (e la loro figlia Aki), ospite della nuova edizione della manifestazione che si svolge a Cagliari. Un’occasione per celebrare il cinema filippino anche attraverso il lavoro di Shireen Seno. Nata a Tokyo da una famiglia di origine filippina, è cresciuta in Giappone prima di laurearsi all’università di Toronto e arrivare/tornare a Manila. Dov’è anche curatrice e organizzatrice di Los Otros, uno spazio, laboratorio e piattaforma dedicato a opere cinematografiche e video con voci personali. Al festival è stato presentato il suo corto Shotgun Tuding, un progetto da curatrice intitolato The Kalampag Tracking Agency che raccoglie una selezione di lavori indipendenti e sperimentali di diversi autori filippini, e la regista ha anche tenuto una masterclass durante la quale ha ripercorso la sua carriera.

Com’è arrivata al cinema?
Sono andata a studiare in Canada, a Toronto, per l’università. Volevo diventare un architetto perché mi affascinavano le città, gli edifici. Ma più studiavo architettura, più mi rendevo conto che non si trattava solo degli spazi e delle strutture in cui abitiamo, ma degli spazi e delle strutture dentro di noi: i sogni, i ricordi. I miei film parlano di questo.

E quindi come ha iniziato?
A Toronto, anche per combattere la solitudine, presi a guardare sempre più film e iniziai a seguire un corso di cinema. Era focalizzato principalmente sullo sviluppo del capitalismo nel cinema e mi colpì molto, per la prima volta vidi come i film riguardavano il cambiamento. Quindi frequentai un workshop in super 8, in bianco e nero, per sperimentare.

Nata e cresciuta in Giappone, è stata influenzata dal cinema giapponese?
In realtà da ragazza non ho visto tanto cinema e la televisione in Giappone non offriva molto da questo punto di vista, è davvero commerciale. Mi sono avvicinata di più al cinema giapponese quando ero a Toronto, frequentando quel corso che mi ha aperto un mondo. Ricordo in particolare i film di Nagisa Oshima. Tra i registi contemporanei mi piace soprattutto Shin’ya Tsukamoto.

Come si è inserita poi nella comunità cinematografica delle Filippine?
Ero una outsider a Manila quando sono arrivata nel 2007 e ho conosciuto un giovane critico cinematografico, Alexis Tioseco, che mi ha messo in contatto con Lav Diaz. Ho così lavorato come fotografa di scena per il suo film Melancholia. È stata bellissima l’accoglienza in questa comunità composta da persone piene di idee che fanno cinema in modo indipendente e non per soldi. Lav è stato contagioso, mi ha detto: “Dovresti fare qualcosa di tuo, non solo lavorare per me”. Mi ha incoraggiata e fatto sembrare tutto più semplice.

Ha diretto finora due lungometraggi, Big Boy e Nervous Translation, che sono accomunati dall’avere come protagonisti giovanissimi interpreti. Da dove nasce questa attenzione per l’infanzia e l’adolescenza?
Sono sempre stata interessata a quel periodo, delicato, e alla crescita in generale. Fisica e psicologica, non solo dei bambini perché parliamo di un processo continuo che non cessa mai e riguarda quindi anche gli adulti. Dei bambini mi piace l’intuitività, l’intelligenza. E per me è anche terapeutico fare film così, racconto con il cinema molte cose della mia infanzia. Nervous Translation è particolarmente legato ai miei ricordi, di quando ero piccola. Però nel mio prossimo film il protagonista sarà una persona anziana.

Al festival è stato proiettato anche un suo cortometraggio particolare: Shotgun Tuding, un western al femminile.
Si tratta di un lavoro su commissione che rientrava in un progetto sulle donne filmmaker del Sud-est asiatico. Tuding è una donna che parte per un viaggio alla ricerca dell’uomo che ha messo incinta la sorella più giovane con l’obiettivo di tornare a casa con lui. Anche in questo caso c’è qualcosa di personale, il ricordo di una storia di famiglia che mi aveva raccontato mio padre. Mio nonno era un soldato durante la guerra e si era innamorato di un’insegnante, ma dopo aver scoperto che era incinta era scappato. Non pensava che la sorella sarebbe venuto a cercarlo per portarlo indietro a sposarla. Ho preso l’idea da qui e fatto un western che un po’ riprende la tradizione di quelli filippini degli anni Settanta.



Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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