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Fengming, a Chinese Memoir

Immagine del film FengmingMezzo secolo di storia personale (e di una intera nazione) raccontato con la semplicità di una telecamera fissa, nel quale scorre il tumulto di emozioni e di drammi, di dolore e di disillusione, una storia che contiene l'epica semplicità della vita vissuta in ogni suo minimo anfratto: Wang Bing dopo il monumentale West of the Tracks racconta nuovamente una Cina che si avvia all'oblio

La scena iniziale mostra una anziana donna che rincasa, percorrendo un vicolo buio e ghiacciato e la telecamera la insegue fin nel soggiorno di casa dove, seduta su un divano e con gli occhi perennemente fissi sull'obiettivo racconta la sua storia di cinquanta anni, una storia molto personale ma così comune nella Cina della seconda metà del novecento.
Nonostante le tre ore di soliloquio, Fengming, a Chinese memoir, secondo documentario di Wang Bing, è opera straordinaria, dirompente che sgomenta e commuove e che da voce ad una tragedia umana di proporzioni immense che riesce ad andare oltre perfino al racconto personale ed autobiografico. Dietro la storia di Fengming c'è il fervore rivoluzionario che dopo il 1949 le fece abbandonare gli studi universitari per dedicarsi alla causa comunista, l'infatuazione per un lavoro da giornalista che le permetteva di esprimere tutta la sua passione politica, il matrimonio con un giornalista vissuto con l'entusiasmo dell'ideologia, ma c'è anche l'accusa infamante contro i destrorsi lanciata dopo la Campagna dei Cento Fiori, i campi di rieducazione, la parziale riabilitazione, la separazione dall'uomo amato e perseguitato, il dramma collettivo della Rivoluzione Culturale, la disgregazione della famiglia e la tardiva riabilitazione, ormai inutile e incapace di sanare seppur minimamente le ferite inguaribili divenute putrescenti.
Ciò che appassiona e commuove in questo racconto è il senso di incredulità che lacera la vita della donna che ancora oggi stenta a credere come, proprio lei che con tanto ardore abbracciò lo spirito rivoluzionario, sia stata da esso ripudiata, ferita, annientata nel profondo; è il sommesso grido di dolore di una comunista convinta che quando ancora si trovava nei campi di rieducazione tra carestie e morte pensava al suo ritorno tra le braccia del partito che l'aveva umiliata.
Il lungo racconto della sua disperata ricerca del marito morto in un campo di lavoro e, più tardi, almeno dei suoi resti è il momento più alto e commovente del documentario, una esperienza così comune nella Cina post maoista ma che non riesce ad essere ovvia o scontata e che sarà poi ripresa con estremo vigore narrativo dal regista qualche anno dopo nel suo primo e magnifico film The Ditch.
La bravura di Wang Bing anche stavolta risiede nella sua capacità di saper 'nascondere' la cinepresa al protagonista al punto che la storia di Fengming sembra sgorgare spontanea, ripulita da ogni inutile accessorio, quasi fosse un semplice fluire di immagini cui la straordinaria protagonista è capace di regalare un rassegnato ed indelebile senso di drammaticità.

Le parole spesso non bastano a raccontare le storie, ma qui, le parole, gli occhi e la calpestata ma non estinta fierezza di Fengming vanno oltre, lasciando un buco grande nello stomaco che richiede giorni per essere rattoppato.

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