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Festa del Cinema di Roma 2016: la nostra guida ai film

Festa del Cinema di Roma - 2016 - Film - Giudizi - CriticaDopo Venezia 73, torna la rubrica con le recensioni in pillole per offrire una bussola della selezione dei festival internazionali. In occasione della Festa del Cinema di Roma, ecco i giudizi degli inviati a tutti i film visionati all'11esima edizione. Appunti critici di un'avventura dello sguardo lunga 11 giorni

 

Selezione Ufficiale


Moonlight - 2016 - Film - Barry JenkinsMoonlight, di Barry Jenkins (Stati Uniti)

Chiron è uno di quei ragazzi di colore della periferia americana che sembrano avere la vita già segnata. Vive in un sobborgo di Miami, subisce ogni giorno il bullismo dei compagni di scuola che lo prendono in giro per il suo aspetto, ha una madre tossicodipendente che lo trascura e un padre che non c’è: finito in riformatorio per aver reagito con un’aggressione a un episodio di pestaggio, decide di forgiare il suo carattere secondo le leggi della strada, diventando un ‘duro’ e reprimendo la sua condizione di omosessuale. Diviso in tre parti (ciascuna dedicata a una fase della vita del protagonista, dall’infanzia all’età adulta), Moonlight è cinema indie che vuole parlare della ricerca di un posto nel mondo per aprire gli occhi sulla realtà di quelle comunità falciate da abbandono e violenza da cui sembra impossibile emanciparsi. Il regista afroamericano Barry Jenkins è animato da nobili intenti, ma pecca a volte di uno stile incerto, troppo in bilico tra crudo realismo e sprazzi di lirismo poetico dietro cui si celano virtuosismi superflui, e non evita alcuni luoghi comuni e stereotipi di tanto cinema sul disagio giovanile. Alla fine il film porta a casa la sufficienza piena, grazie a un toccante terzo atto in cui si tirano le somme con dialoghi, cifra stilistica, interpretazioni del cast che si muovono in sottrazione trovando la giusta misura nello scavare negli abissi dello smarrimento esistenziale di Chiron (e di molti altri come lui). Film di apertura. (Francesco Siciliano)
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Manchester by the Sea - Film -2016 - Kenneth Lonergan

Manchester by the Sea, di Kenneth Lonergan (Stati Uniti)

Costretto dalla morte prematura del fratello Joy, Lee torna a Manchester, cittadina di mare del Massachusetts, che aveva abbandonato anni prima sopraffatto dal peso di un tragedia personale. Qui seguendo le istruzioni testamentarie del fratello dovrà prendersi cura del nipote adolescente Patrick e, soprattutto, dover riannodare i fili del suo passato attraverso la rilettura dei legami famigliari e dei rapporti personali. Attraverso vari piani narrativi temporali ripercorriamo la storia di Lee e della sua famiglia che ancora pesantemente condizionano il suo presente. Manchester by the Sea di Kenneth Lonergan è lavoro che scava nei legami di famiglia e nel baratro della disperazione, costruendo un personaggio indubbiamente ben riuscito seppur a volte statico nel suo stato d'animo, ottimamente interpretato da Casey Affleck. Il repentino e continuo cambio di registro narrativo che contraddistingue la pellicola, che passa in un batter di ciglia dal dramma profondo a situazioni e dialoghi da commedia brillante, appare troppo forzato, così come il continuo rimando per immagini al mare, ma nel complesso il film ha il suo valore, nonostante le quasi due ore e mezza che ne dilatano la visione e probabilmente la appesantiscono anche. (Massimo Volpe)
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Snowden - Film - 2016 - Oliver StoneSnowden, di Oliver Stone (Francia-Germania-Stati Uniti)

La storia è nota: Edward Snowden è l’ex esperto informatico della CIA che, divorato dai sensi di colpa, spifferò alla stampa i meccanismi dei programmi di sorveglianza di massa utilizzati per anni per conto del governo statunitense, scatenando le ire dei servizi segreti e dei politici a stelle e strisce. Oliver Stone ne ripercorre la storia con un film d’impegno civile totalmente ripiegato sulla cronaca minuziosa dei fatti (peraltro già ampiamente documentata dalla miriade di informazioni che tv, giornali e web hanno fornito in questi ultimi tre anni) e sorprendentemente lacunoso sul piano cinematografico. Sono lontani i tempi di Wall Street: il pathos politico c’è ancora e scorre impetuoso (fregandosene della misura), quello che manca è un’idea di cinema che sappia incidere sulle coscienze portando a galla verità celate ai nostri occhi e andando oltre i propositi pedagogici. Tutto si riduce a una semplice ricostruzione simil-televisiva (anche per via di un uso del digitale non proprio attento sul piano della fotografia...) più che a un thriller ricco di suspense come ci si aspetterebbe. Finale con il vero Snowden che compare sullo schermo per pronunciare un discorso in cui è racchiuso il senso delle sue rivelazioni. Brutto segno quando c’è bisogno di mostrare i veri volti dietro le storie raccontate. Questo lasciamolo fare alla tv. (Francesco Siciliano)
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Sole cuore amore - Film - 2016 - Daniele VicariSole cuore amore, di Daniele Vicari (Italia)



Lo sfondo è quello ormai stucchevole delle periferie romane. La storia bicefala ruota su due giovani donne amiche che vivono nello stesso palazzo: Eli, barista che si alza tutti i giorni alle 4.30 per andare al lavoro, marito disoccupato, una vita di sacrifici e di fatica ma quattro figli (e non sono certo dei neo catecumenali per i quali “ogni botta è una tacca"), sempre pronta a rendersi utile; Vale, ballerina che si esibisce nelle discoteche di periferia insieme all'amica Bianca con tanto di manager coatto e violento, un rapporto conflittuale con la madre. Le due storie corrono parallele e mostrano le difficoltà legate al momento economico, incrociandosi ogni tanto, fino a convergere in un finale che affoga nel dramma e nella nebbia narrativa. Sole cuore amore di Daniele Vicari (quasi incomprensibile la scena dalla quale il film prende il titolo) è infarcito ovviamente di slang coattesco (ma posso assicurare che a Roma, anche nelle periferie, non parlano tutti così...), dialoghi ormai tutti uguali e veri e propri stereotipi di certo cinema italiano. Storie nelle quali sono pigiate come la pressa tutte le tematiche possibili che ruotano attorno al disagio. Persino la musica dell'ottimo Stefano Di Battista stona in un contesto nel quale la storia ristagna dall'inizio alla fine senza offrire nulla che le dia qualcosa di cinematograficamente valido. Peccato per Isabella Ragonese, che con la sua eccellente prova non riesce comunque a risollevare il film dalla sua stanca ovvietà, seppur colorata da pretese stilistiche ed artistiche. Possibile che il cosiddetto nuova cinema italiano non sappia guardare mai oltre l'angusto steccato pseudo-sociale a connotazione fissa che si è costruito intorno? (Massimo Volpe)

TThe Birth of a Nation - Film - 2016 - Nate Parkerhe Birth of a Nation, di Nate Parker (Stati Uniti)



No, non è il remake di Nascita di una nazione di D.W. Griffith come il titolo potrebbe suggerire. Peggio, è la rivisitazione di infima qualità di un tema ormai caro a Hollywood (pensiamo a Django Unchained o a 12 anni schiavo), quello della schiavitù. Si narra di Nat, un predicatore di colore benvoluto da una famiglia di bianchi, nato schiavo in una piantagione di cotone di Southampton. Le sue doti di gran oratore diventano una fonte di guadagno per le tasche del suo padrone in declino. Convinto che la parola di Dio possa lenire le sofferenze, Nat ha il compito di girare per le piantagioni dietro compenso degli schiavisti in difficoltà con i loro sottomessi: con i sermoni arringa gli schiavi facendo leva sulla loro fede per infondergli la forza di motivarli a lavorare. Gli orrori compiuti dai bianchi contro i neri, di cui diviene sempre più testimone ogni giorno che passa, lo fanno ricredere sul suo ruolo di predicatore, inducendolo a diventare il fautore di una ribellione alla schiavitù che farà scorrere molto sangue. Primo film da regista dell'attore afroamericano Nate Parker sulla scia della peggior tradizione hollywoodiana: ispirato a fatti realmente accaduti, The Birth of a Nation è il classico polpettone storico infarcito di un pericoloso mix di retorica portata al parossismo, spettacolarità spiccia, sentimenti melensi. Una bomba lacrimogena per i cuori più teneri pronta a esplodere nelle mani di un regista che svilisce il tema della schiavitù con emozioni a comando chiamando in causa i sensi di colpa del pubblico americano per una pagina buia della sua Storia. (Francesco Siciliano)

The Eagle Huntress - Film - 2016 - Otto BellThe Eagle Huntress, di Otto Bell (Regno Unito-Mongolia-Stati Uniti)



Nel nord della Mongolia, ai piedi dei Monti Altai, vivono delle popolazioni nomadi di religione musulmana che si tramandano da secoli l’usanza della caccia con le aquile, utilizzate per procurarsi, soprattutto d’inverno, il pellame per confezionare gli abiti. La tredicenne Aisholpan è fermamente intenzionata a seguire le orme del padre e dei suoi antenati e ad apprendere questa difficile tecnica, riservata però tradizionalmente al maschio, sfidando quindi le usanze millenarie delle tribù nomadi.
Con un racconto che si pone a metà strada tra documentario e fiction, il regista Otto Bell racconta questo cammino di apprendistato della ragazzina, commettendo però un errore imperdonabile, ancora più tale in considerazione del fatto che aveva sotto mano una storia dalle grandi potenzialità: anche in The Eagle Huntress manca il cinema, la voce narrante fuori campo fa somigliare il film più ad un programma in stile Real Time che ad una pellicola che racconta tradizioni, usi e soprattutto storie personali ed il film si appiattisce su canoni che appaiono fuori luogo. Le immagini sono splendide, i paesaggi di quelli che rimangono negli occhi, ma tutto è confezionato con una mentalità troppo occidentale, a cominciare da una musica invadente che stride in maniera vistosa con la bellezza dell’ambientazione e con la sacralità delle tradizioni. Peccato, occasione quasi unica persa per eccesso di invadenza narrativa. (Massimo Volpe)

Into the Inferno - Film - 2016 - Werner HerzogInto the Inferno, di Werner Herzog (Regno Unito-Austria)

Nella sua continua ricerca antropologica Warner Herzog va a far visita ad alcuni vulcani sparsi per i quattro angoli del globo in compagna del vulcanologo Clive Oppenheimer: Into the Inferno non è solo un racconto scientifico nudo e crudo, è anche il tentativo di raccontare come l'uomo per esorcizzare il terrore che incutono i vulcani abbia sviluppato intorno ad essi leggende e miti, storie fantastiche e addirittura vere e proprie religioni. Da Vanuatu all'Indonesia, dall'Islanda alla Corea del Nord il vulcano assume le sembianze di un catino ribollente degli spiriti dei morti o il luogo mitologico dove nascono gli eroi, una entità terribile e spietata capace di annientare il mondo. Into the Inferno si presenta però troppo spesso come un documentario di tipo divulgativo, di quelli da canale monotematico delle televisioni a pagamento, tralasciando troppo spesso di trasmettere la poetica del mito e della leggenda tramandato dalle tradizioni locali. Anche dal punto di vista puramente visivo la pellicola non ha la forza di altri documentari del regista tedesco e quindi non riesce a sollevarsi al di sopra di un lavoro di pura descrizione. (Massimo Volpe)
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Powidoki - Afterimage - Film - 2016 - Andrzej WajdaPowidoki (Afterimage), di Andrzej Wajda (Polonia)



Il film testamento di Andrzej Wajda. Una definizione che potrebbe sembrare ‘di comodo’ in relazione alla recente scomparsa del regista, ma che invece si impone con forza, volenti o nolenti, dopo la visione di questo ritratto degli ultimi anni di vita del pittore polacco Wladyslaw Strzemiński, nel secondo dopoguerra, quando l’ostracismo del regime comunista d’influenza russa lo costrinse a rinunciare alla sua vita accademica e a veder cancellate le tracce del suo lavoro di artista perché in antitesi con i principi del nuovo corso del realismo sociale a cui bisognava sottostare. Strzemiński è stato il padre dell’unismo e soprattutto grande studioso dell’after image a cui si riferisce il titolo del film, ovvero la teoria dell’immagine residuale, l’illusione ottica che crea un’immagine che persiste nella visione anche quando l’esposizione dell’immagine originale cessa di manifestarsi, un fenomeno strettamente correlato alla persistenza della visione che, attraverso una rapida successioni di immagini, permette di rappresentare il movimento nel cinema e nell’animazione. Powidoki (Afterimage) si impone quindi non solo come un documento storico (con l’obiettivo di ‘risarcire’ la memoria di Strzemiński) ma anche come una riflessione sull’arte (e di riflesso sul cinema) e sul suo ruolo nella società e nella crescita dell’individuo. Come tutto il miglior cinema di Wajda, che qui trova una misura e un acume preziosi seguendo la luce del faro della Storia. (Francesco Siciliano)
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Land of the Little People - Film - 2016 - Yaniv BermanLand of the Little People, di Yaniv Berman (Israele)



La base militare in rovina è il covo di una banda di adolescenti che assistono all'ennesima guerra che Israele sta per intraprendere: i padri richiamati dall'esercito, le madri perennemente attaccate a radio e televisioni in attesa di notizie, i ragazzini liberi di scorrazzare e di rifugiarsi nel rudere alla guardia del quale hanno messo  una immaginaria presenza nascosta in un pozzo. Nel rudere trovano riparo anche due disertori, ma i ragazzini sono intenzionati a difenderlo a tutti i costi. Lavoro che inizia con una bella ambientazione e come un racconto di iniziazione alla vita di un gruppo di ragazzini che già mostrano l’ossessione per la situazione bellica permanente in cui vive il Paese, Land of the Little People di Yaniv Berman scivola presto nel thriller quasi orrorifico con una buona dose di durezza, dietro al quale giacciono metafore insistite sulla condizione sociale e politica dello stato ebraico. Peccato che la storia da un certo punto in poi vaghi alla ricerca di un registro stabile, mostrando una evidente debolezza narrativa, fino ad approdare ad un finale non troppo convincente. (Massimo Volpe)

Una - Film - 2016 - Benedict AndrewsUna, di Benedict Andrews (Regno Unito, Stati Uniti, Canada)



Film coraggioso, tutt’altro che perfetto ma che almeno rompe il piattume americanofilo della 11esima Festa del Cinema di Roma, Una di Benedict Andrews è la storia di un amore torbido, i cui contorni non saranno chiariti neanche alla fine, che allunga la sua forza destabilizzante dopo 15 anni. Una è una giovane donna che a 13 anni ebbe una relazione con un uomo adulto, amico di famiglia. Il processo per violenza carnale e la successiva morte del padre segnano la vita della ragazza che decide di saldare i conti col passato andando alla ricerca dell’uomo con cui ebbe la relazione. Una possiede una buona tensione narrativa, sebbene lasci forse troppe situazioni ambigue in piedi, in primis la vera natura del rapporto intercorso tra l’uomo e la ragazzina, ma ha il pregio di offrirci un personaggio, quello della protagonista, interpretata da una eccellente Rooney Mara, dai forti tratti disturbati in maniera indelebile e di non scivolare mai nella morbosità voyueristica ostentata. Le ombre del passato che tornano ad allungarsi sulle vite personali sono da sempre uno dei cardini del cinema: Una riesce a farlo in maniera apprezzabile, nonostante non chiarisca in maniera compiuta alcuni snodi narrativi. (Massimo Volpe)
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Tramps - Film - 2016 - Adam LeonTramps, di Adam Leon (Stati Uniti)



Adam Leon, qui al suo secondo lungometraggio, gira una sorta di Lost in New York: due giovani incrociano le loro solitudini, iniziamo a conoscersi, provano attrazione l’uno per l’altra mentre vagano per le strade di una città dai forti contrasti. Il motore dell’azione è una misteriosa valigetta che contiene qualcosa di prezioso: oggetto di un furto su commissione, Danny deve prenderla sotto la sua custodia per conto del fratello finito in carcere e portarla con sé a un appuntamento per fare uno scambio con un’altra valigetta. Se tutto andrò liscio, il ragazzo potrà ricavarci 1.500 dollari. Sembra tutto facile, ma le cose andranno male: Danny scambierà la valigetta con la persona sbagliata e dovrà cercare di recuperarla il prima possibile con l’aiuto della sua complice Ellie. Mentre girano in lungo e in largo per New York, Danny ed Ellie vivono situazioni di pericolo che li spingono piano piano ad aprire il cuore l’uno all’altra e forse ad amarsi... Tramps è una di quelle love story giovanili che si nutrono di un evento inatteso da cui scaturiscono sensazioni, umori, sentimenti impalpabili dentro la vertigine di una frenetica cornice metropolitana. L’ambizione è quella di un film camuffato da heist-movie che punta a essere un piccolo cult, con situazioni al cardiopalma in uno sviluppo temporale circoscritto a una giornata e due protagonisti che giocano con il loro fascino mostrando una buona alchimia sullo schermo. Obiettivo centrato solo in parte a causa di un intreccio narrativo lacunoso (quello legato alla ricerca della valigetta), puro pretesto per l’esercizio di una commedia romantica che percorre strade già battute. (Francesco Siciliano)

Nagaii iiwake - The Long Excuse - Film - 2016 - Miwa NishikawaNagai iiwake (The Long Excuse), di Miwa Nishikawa (Giappone)



Sachio è uno scrittore di successo che perde la moglie in un incidente stradale durante una vacanza con la sua migliore amica. In quel momento lui se la sta spassando con un’altra donna, sintomo di un rapporto coniugale tutt’altro che saldo. In più di una occasione l’uomo si trova costretto a recitare la parte del marito distrutto dal dolore e inizia a frequentare il coniuge dell’amica della moglie morta anch’essa. Forse alla ricerca di nuove ispirazioni, animato da un certo cinismo opportunista, Sachio si offre di badare ai figli in tenera età dell’uomo. Ben presto nel protagonista si farà strada un forte legame coi ragazzini e la scoperta della difficoltà alla elaborazione del lutto proprio quando capisce che anche la moglie non provava per lui ormai più nulla, dando vita ad una metamorfosi personale che lo porterà a lasciare da parte il suo opportunismo in favore di una nuova visione della propria esistenza. Miwa Nishikawa è regista con alle spalle già alcuni lavori, scrittrice, autrice del romanzo cui si ispira il film e con un felice apprendistato artistico sulle orme di Hirokazu Kore-eda. Il film, ove si escluda il fondamentale snodo narrativo che dà il via al cambiamento del protagonista che appare troppo ambiguo, forse volutamente, è una pregevole lettura del tentativo di superare gli affanni interiori: in perfetto stile Kore-eda, sa scrutare in silenzio con molta leggerezza anche i lati più drammatici con uno sguardo particolarmente compassionevole della condizione infantile e ben riproduce quelle che sono alcune modalità sociali tipiche nipponiche.
The Long Excuse ha il pregio, inoltre, di portare un soffio di freschezza nelle sale della Festa del Cinema di Roma 2016, nelle quali ristagna troppo spesso un’aria mefitica e stantia generata da lavori inguardabili. (Massimo Volpe)
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Maria per Roma - 2016 - Film - Karen Di PortoMaria per Roma, di Karen Di Porto (Italia)



Ci risiamo. Il cinema italiano è in crisi di produttori capaci di fare il loro lavoro: guidare i registi, soprattutto quelli più giovani, magari aiutandoli nel processo creativo a partire dalla sceneggiatura. Altrimenti non si spiegherebbero film come Maria per Roma, esordio gracile per non dire inconsistente di Karen Di Porto, una e trina (regista, sceneggiatrice e interprete protagonista). La storia: una ragazza appartenente a una famiglia di antiquari sull’orlo della bancarotta si barcamena in Vespa tra il suo lavoro di key holder per turisti in cerca di case in affitto a Roma e il suo sogno di recitare per il cinema. La realizzazione: una regia piatta, quasi di servizio, cerca di dare corpo alle due anime del film, quella della dimensione grottesca del caos della realtà romana (fatta di situazioni quotidiane al limite dell’inverosimile, arricchite dal solito gergo romanesco del tipo “ahò”, “ma che caz…”, ecc… che vorrebbe guadagnarsi la simpatia del pubblico) e quella metacinematografica del sogno artistico fatto di aspettative deluse. Risultato: tra provini che non portano a nulla perché la morale originalissima è che il mondo del cinema è opportunista e non premia il talento e siparietti familiari e lavorativi popolati da personaggi scontati degni di una fiction di Rai Uno, si consuma l’ennesimo film sulla difficoltà di conciliare i sogni con i problemi della vita reale, pieno di cliché, recitato maldestramente (l’interpretazione del personaggio della mamma antiquaria sembra improvvisata per quanto risulti ‘finta’), ma soprattutto presuntuoso nell’autoreferenzialità che lo permea (la storia è d’ispirazione autobiografica) come se ogni vita fosse degna di essere raccontata al cinema. C'era materiale per un corto, non per un film, ma nessuno se ne è accorto... (Francesco Siciliano)

The Secret Scripture - Film - 2016 - Jim SheridanThe Secret Scripture, di Jim Sheridan (Irlanda)



Liberamente ispirato al pluripremiato romanzo dal titolo omonimo di Sebastian Barry, The Secret Scripture di Jim Sheridan è il racconto ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale della travagliata vita di Rose, donna protestante nel cuore dell'Irlanda cattolica, accusata di infanticidio e ricoverata in un ospedale psichiatrico nel quale cinquanta anni dopo ancora è albergata. Dovendo l'ospedale essere trasformato in un albergo, il caso della donna viene rivalutato dal Dott. Grene che ne deve decidere la destinazione. Attraverso la lettura dei pensieri scritti a margine delle pagine della Bibbia e al racconto dell'anziana donna, scopriamo come la giovane Rose è stata vittima dei preconcetti, delle maldicenze e dell'intolleranza religiosa verso le quali lei si è sempre rifiutata di abbassare lo sguardo. Commenti alla fine del film, piuttosto risentiti, ci fanno sapere che lo spirito del testo è stato fortemente stravolto in favore di un finale stile soap opera. Di sicuro l'epilogo stona fortemente anche perché costruito da lontano e va a minare il giudizio su un lavoro che dal punto di vista formale e della regia ha i suoi indubbi pregi. A fronte di un personaggio quale quello di Rose, credibile e ben tratteggiato, ne troviamo altri, quale quello del parroco della comunità, che si erge con ben poca forza a villain della storia, spinto dalla sua meschinità personale e non dal suo ruolo di normalizzatore sociale. Le prove di Rooney Mara e soprattutto di Vanessa Redgrave, rispettivamente nei panni della Rose giovane e vecchia, sono degne di nota e consentono comunque al film di portare via una sufficienza seppur stiracchiata. (Massimo Volpe)
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Sword Master - Film - 2016 - Derek YeeSan shao ye de jian (Sword Master), di Derek Yee (Cina)



Presentato in anteprima mondiale alla Festa del Cinema di Roma, unico rappresentante della cinematografia cinese, Sword Master di Derek Yee è lavoro che ha avuto una lunga gestazione e che si avvalso del grande Tsui Hark in veste di produttore e sceneggiatore. Tratto da un romanzo di Gu Long degli Anni ‘70, il film è un wuxia classico, rivisitato con le tecnologie moderne. È la storia del Terzo Maestro, un invincibile maestro di arti marziali che, stanco degli eccidi compiuti nel nome della nobile arte, si spaccia per morto e finisce a fare una umile vita da sguattero in un bordello, dopo aver mandato all’aria all’ultimo momento il matrimonio con una spadaccina di un altro clan, causando una faida famigliare. Dall’altra parte c’è un cavaliere errante che ha come aspirazione massima il voler combattere con il leggendario maestro per mettere alla prova le sue capacità. Gli ingredienti del genere ci sono tutti: cavalieri erranti, amori tribolati, maestri invincibili, spose sopraffatte dall’odio che contrasta con l’amore, l’onore delle arti marziali; ed in effetti Derek Yee mette in scena un racconto per molti versi classico, arricchito solo da un 3D ben poco invadente. Per lunghi tratti, soprattutto nelle scene molto teatrali nei villaggi di campagna, è una pura rivisitazione dei film della Shaw Brothers Anni ‘70-‘80, sebbene le scene ad alta spettacolarità non manchino certo. Molto incentrato sulle filosofia che pervade il wuxia, Sword Master è lavoro che cerca di miscelare questo aspetto a quello più puramente d’azione, riuscendoci almeno in parte. Che il lavoro di Derek Yee sia candidato ad un grande successo in patria è fuori di dubbio, anche in considerazione del grande revival dei film sulle arti marziali. (Massimo Volpe)
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La ultima tarde - Film - 2016 - Joel CaleroLa ultima tarde, di Joel Calero (Perù-Colombia)



Siamo a Lima, Perù. Laura e Ramon, due quarantenni, ex militanti di un gruppo terroristico di estrema sinistra, si rincontrano dopo diciannove anni per firmare i documenti con cui divorzieranno legalmente. Lei è diventata una pubblicitaria, lui un promotore finanziario. Non c’è mai stato un contatto tra i due dal giorno in cui la donna decise di abbandonare l’uomo e la lotta armata per poi rifugiarsi in Argentina facendo perdere le sue tracce. Insieme trascorreranno una giornata durante la quale riemergeranno ideali di un tempo, segreti indicibili, incompatibilità caratteriali che porteranno entrambi a riflettere sulle loro azioni del passato e del presente, crocevia dei problemi irrisolti del loro Paese. Al suo secondo film, Joel Calero mette il pubblico di fronte al ritratto di una generazione, dei suoi fallimenti, delle sue contraddizioni e delle ripercussioni delle sue scelte nell’oggi. Una visione letteralmente frontale, senza filtri, quasi in presa diretta, fatta di dialoghi fitti e piani sequenza lunghi che ti inchiodano alla poltrona, perché l’intuizione è quella di seguire il peregrinare dei due protagonisti per Lima incollandosi ai loro volti proiettati verso il pubblico. Ne viene fuori un film a tratti intenso, mai banale sia nelle sfumature intimiste che in quelle più politiche, che con economia di mezzi fotografa una rivoluzione mancata attraverso il sentimento di disillusione di due ex idealisti ormai omologati alla massa. Peccato per l’epilogo incerto, che spezza il crescendo drammatico con un colpo di scena di dubbia necessità. (Francesco Siciliano)

Al final del tunel - At the End of the Tunnel - Film - 2016 - Rodrigo GrandeAl final del tunel (At the End of the Tunnel), di Rodrigo Grande (Argentina-Spagna)



Fare film di genere appassionanti, verosimili, estrosi è ancora possibile. Prova ne è questo bel thriller argentino di Rodrigo Grande, che ha già all’attivo due lungometraggi. Al centro del film Joaquin, un uomo sulla sedia a rotelle rinchiuso in una casa che nasconde un passato famigliare drammatico. Le sue giornate trascorrono in completa solitudine tra piccole riparazioni di apparecchi elettrici. Una routine che viene interrotta dall’arrivo di un’avvenente ballerina e dalla figlia piccola, nuove affittuarie di una stanza al secondo piano dell’abitazione. Non è l’unica presenza con cui Joaquin deve confrontarsi: l’uomo ben presto scopre che al di là della parete del suo laboratorio di riparazioni c’è il covo di una banda di malviventi impegnata nella costruzione di un tunnel sotterraneo nell'intento di svaligiare una banca. Joaquin escogiterà un suo piano per mandare a monte la rapina, ma… meglio non andare oltre per non rovinarvi il gusto della scoperta. Un intreccio credibile in cui tutto torna, una suspense sempre crescente che sfrutta gli elementi scenografici, personaggi pregni di un’ambiguità che non sai mai dove ti condurrà: questi gli ingredienti di un film ad alta tensione che strizza l’occhio al cinema di Alfred Hitchcock (La finestra sul cortile) combinando i movimenti della macchina da presa con quelli dei personaggi in un godibile meccanismo narrativo che non rinuncia a una sottile ironia. (Francesco Siciliano)


The Hollars - Film - 2016 - John KrasinskiThe Hollars, di John Krasinski (Stati Uniti)



La Festa del Cinema di Roma raggiunge il suo livello più basso proprio sul finire con The Hollars, ennesima commediola americana, cui sembra essere sufficiente avere il bollino del Sundance Film Festival per avere il lasciapassare per la rassegna di Antonio Monda. Di fatto il film di John Krasinski è un collage di sketch insulsi in perfetto stile sit-com da quattro soldi che si coagulano sulla consueta e abusatissima riunione di famiglia causa malattia della matriarca: tensioni famigliari, sciroccati che prima chiedono il divorzio e poi vanno fuori di testa se la moglie ha un altro, problemi economici, gravide in attesa di partorire, futuri padri inadeguati, ex fidanzate vogliose, la malattia, funerali e parti, tutti buttati lì alla rinfusa con il solo collante della idiozia dei personaggi capaci di fare tutto e il contrario di tutto, con la pretesa di poter far dire a un audience di gonzi: “che bella commedia intelligente” e di poter aspirare di fregiarsi dell’ambito titolo di “nuovo Woody Allen” o “nuovo John Landis”. Quello che lascia senza parole non è la scelta dei selezionatori, ormai la mission della Festa è chiarissima in tal senso, quanto il tripudio in sala e gli applausi scroscianti alla fine da parte di un’audience che ha cancellato i neuroni grazie alla televisione e a certo cinema americano, soprattutto commediaiolo. (Massimo Volpe)


Tutti ne parlano

Genius - Film - 2016 - Michael GrandageGenius, di Michael Grandage (Regno Unito-Stati Uniti)



La storia della profonda amicizia che si instaurò, nella New York della Grande Depressione, tra Maxwell Perkins, editor della famosa casa editrice Scribner’s Sons, scopritore di giganti della letteratura come Ernest Hemingway e Francis Scott Fitzgerald, e Thomas Wolfe, scrittore e poeta esuberante, amato per il suo stile rapsodico, morto di tubercolosi cerebrale a soli 38 anni. Un’amicizia che nella realtà non è forse mai esistita (pare che Wolfe nutrisse forti risentimenti contro Perkins e le sue continue ingerenze nel lavoro di revisione degli scritti, tanto da spingersi a troncarne i rapporti non appena giunta la notorietà) ma che il film racconta con stile romanzesco dandole la forma di un rapporto padre-figlio, con Perkins nel ruolo dell’editore pragmatico e generoso mosso da sani principi e Wolfe in quello dello scrittore genio e sregolatezza da allevare e plasmare. Tra i vari spunti potenzialmente interessanti disseminati lungo la narrazione (la difficoltà di conciliare le ragioni dell’arte con quelle del commercio, l’impossibilità a trovare un equilibrio tra la vita privata e le ambizioni personali, la fatica di essere all’altezza delle aspettative, la fragilità di chi deve sottoporsi al giudizio degli altri), il regista esordiente Michael Grandage sceglie di approfondire il lato più strettamente emotivo dei personaggi, finendo però per mancare di misura nella rappresentazione dei sentimenti che accompagnano l’ascesa e la morte prematura di Wolfe. La scorciatoia che porta alla ‘lacrima facile’ è sempre dietro l’angolo, ma per fortuna le buone interpretazioni del cast (magnifico Colin Firth) evitano il peggio. (Francesco Siciliano)

Hell or High Water - Film - 2016 - David MackenzieHell or High Water, di David Mackenzie (Stati Uniti)



Nel polveroso Texas afflitto dalla crisi economica due fratelli orchestrano un piano per rapinare le filiali di una banca che sta per portargli via i terreni di famiglia. Il disegno criminale si trasforma in una lotta contro il tempo per ripagare con gli stessi soldi della banca il debito in modo da estinguere l’ipoteca. Le cose si complicano quando un ranger prossimo alla pensione, dotato di ottimo fiuto investigativo e determinato più che mai a rimandare il più a lungo possibile il suo congedo dal lavoro, inizia a mettersi sulle loro tracce. David Mackenzie gira una specie di western moderno a parti invertite specchio dei tempi: lo spettatore è indotto a parteggiare più per i banditi animati da vendicativi intenti contro il male incarnato dal sistema bancario, piuttosto che per i tutori della legge. È tutto qui il merito di Hell or High Water: nella sua prospettiva ribaltata in cui riecheggia lo spirito degli Stati Uniti. Il resto lo fanno una regia attenta a disegnare sullo schermo i contorni di un nuovo West e le interpretazioni di Chris Pine e di Jeff Bridges (da manuale il dialogo che li vede protagonisti). (Francesco Siciliano)

Train to Busan - Film - 2016 - Yeon Sang-hoBusanhaeng (Train to Busan), di Yeon Sang-ho (Corea del Sud)



Autentico film-crack dell’anno, e non solo in Corea del Sud, Train to Busan arriva alla Festa del Cinema di Roma portando una vigorosa ventata di aria fresca, rompendo il monotono monopolio del cinema americano. Presentato come uno dei primissimi zombie-movie del cinema coreano, il lavoro di Yeon Sang-ho rispetta in effetti la gran parte dei canoni del genere assurgendo al rango di uno dei migliori film sugli zombie visti negli ultimi anni. La storia si svolge in larghissima parte sul treno che collega Seoul a Busan, mentre tutto il Paese è in preda ad una serie di misteriosi eventi nei quali il solo morso trasforma gli uomini in zombie sfrenati e assetati di sangue. Sul treno troviamo il protagonista, un gestore di fondi, che sta portando la figlioletta dalla madre dalla quale ha divorziato, più una serie di personaggi che ognuno a modo suo, come il canone impone, rappresenta un archetipo della società coreana. Busan è l’unica città rimasta immune dalla catastrofe, quindi quel treno è il viatico per la salvezza. Più che su contrapposizioni sociali, che comunque ci sono nel film, il racconto si fonda maggiormente su conflitti personali ed interiori, presentando comunque tutta una seria di metafore tipicamente coreane. Effetti speciali ben fatti, come tradizione, tensione sempre alle stelle, qualche scena gore, senza esagerare però, ed ecco fatto il film di genere quasi perfetto, con la sua morale ben chiara. Grazie alla benemerita attività della Tucker Film Train to Busan vedrà la luce anche nelle nostre sale, probabilmente nella primavera del prossimo anno. (Massimo Volpe)
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La tortue rouge - The Red Turtle - Film - 2016 - Michael Dudok de WitLa tortue rouge (The Red Turtle), di Michael Dudok de Wit (Giappone-Francia-Belgio)



Un uomo si risveglia su un’isola dopo un naufragio. Recuperate le forze, prova a lasciare l’isola con una zattera, ma ogni tentativo non va a buon fine: una grande tartaruga rossa gli impedisce di andare via provocando ogni volta la rottura dell’imbarcazione di fortuna. L’uomo perde la pazienza e un giorno si accanisce con violenza contro la tartaruga immobilizzandola sotto il sole cocente fino a ridurla a uno stato catatonico. Attanagliato dai sensi di colpa per quello che ha fatto, il naufrago cerca di aiutare la tartaruga a recuperare i sensi, ma scopre che il suo posto è stato preso da una donna con i capelli rossi con il corpo avvolto nel suo guscio. Tra di loro nasce un amore che porterà l’uomo a stabilirsi sull’isola e a mettere su una famiglia. Co-prodotto dal celebre Studio Ghibli (con Isaho Takahata coinvolto come artistic producer), La tortue rouge è un film d’animazione che cerca di coniugare una storia a mo’ di favola con uno stile molto ricercato lontano anni luce dal mainstream disneyano. Attorno a un evento misterioso (la metamorfosi di una tartaruga che si trasforma in un essere umano), Michael Dudok de Wit costruisce una elegia della circolarità della vita che passa attraverso i temi del rapporto uomo-Natura compresa l’accettazione della morte per mano delle alterazioni dovute al progresso dell’uno (l’inquinamento che porta alla morte dei pesci) o delle manifestazioni virulente dell’altra (lo tsunami), rinunciando ai dialoghi e puntando tutto su un linguaggio per immagini che si rifà nei tratti del disegno alla migliore tradizione del fumetto europeo e nei colori agli acquerelli nell’arte orientale (soprattutto giapponese). È un film che potrebbe rischiare di non avere un pubblico (troppo maturo nel linguaggio per i più piccoli, troppo 'favolistico' nello schema narrativo per i più grandi) ma che ha dalla sua una bellezza muta, una cifra autoriale poetica di estremo fascino formale anche se a volte sfiora l’esercizio stilistico. (Francesco Siciliano)
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Alice nella città


Nocturama - Film - 2016 - Bertrand BonelloNocturama, di Bertrand Bonello (Francia-Germania-Belgio)

Un gruppo di giovani si muove apparentemente in maniera confusa tra la metropolitana e le strade di Parigi, si scambiano messaggi cifrati via telefono cellulare, spostano pacchi e borse. Si incrociano, si sfiorano e incrociano sguardi furtivi. Poi con un rewind assistiamo ad una riunione organizzativa in cui il piano è studiato e ripassato al setaccio: le bombe vengono piazzate, pronte a trasformare il pomeriggio parigino in un incubo. Il ritrovo sarà un grande magazzino da dove assisteranno assieme ai risultati dell’azione, rimanendoci chiusi dentro tutta la notte. Non è un visionario né un vate Bertrand Bonello: la sceneggiatura di Nocturama, presentato nella rassegna collaterale Alice nella città dell’11esima Festa del Cinema di Roma, infatti è stata scritta dal regista alcuni anni fa, ben prima che la violenza jidaista trasformasse Parigi in un campo di battaglia. La visione di Bonello è piuttosto quella di una implosione generazionale trasversale che abbraccia tutte le classi sociali, priva di ideologia e di etica, preoccupante simbolo della decadenza occidentale della società capitalistica-consumistica del terzo millennio che si rispecchia nella notte trascorsa nel grande magazzino tra i simboli di quella società cui loro stessi sono legati. Nocturama è insomma la visione di Bonello sulla deriva della nostra società occidentale, scrutata con gli occhi amorali e privi di etica dei giovani. Ben costruito nei suoi incastri, il film però mostra troppi intoppi che non convincono, con snodi narrativi a volte forzati o molto poco coerenti: l'analisi nichilistica del regista ci può anche stare, lo sviluppo della storia invece barcolla pericolosamente in svariati momenti. (Massimo Volpe)
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Captain Fantastic - Film - 2016 - Matt RossCaptain Fantastic, di Matt Ross (Stati Uniti)



Basterebbero poche parole per descrivere Captain Fantastic di Matt Ross, incredibilmente premiato a Cannes in Un Certain Regard per la regia (!): film ruffiano che parla di un fesso che si crede un filosofo incurante delle conseguenze che il suo patetico credo utopistico comporta e che può far breccia solo nella masse di ipocriti buonisti (e magari pure radical chic) con il cuore aperto al polpettone (finto)anticonformista. Ma andiamo avanti, tanto per non far sembrare una sentenza le parole precedenti.
Il protagonista è un hippie anacronistico che sembra uscito da qualche programma TV Anni ‘60 che pensa di educare i figli (ben sei) isolandosi in una foresta tra i monti lontano dall’orrido capitalismo progressista e tecnologico. Quando la moglie muore, l’uomo decide di andarsi a recuperare il cadavere per offrirle il rito finale buddista (si ricorda agli sprovveduti che il buddhista non va a caccia e non mangia carne, attività invece quotidiane del protagonista…). Il rientro nella detestabile società civile sarà un trauma soprattutto per i ragazzi che non l’hanno mai toccata con mano, visto che non vanno neppure a scuola ma sono indottrinati come un piccolo esercito dal protagonista fesso. Finale a tarallucci e vino nel quale con la solita iperdose di ipocrisia si vuol salvare capra e cavoli. Falso anticonformismo che più conformismo non si può: questo è il lavoro di Ross che si nutre di furbizia e ruffianeria a palate. Più che chiederci cosa succede alla Festa di Roma che presenta un film del genere, viene da chiederci costernati che succede sulla Croisette. (Massimo Volpe)
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Tschick - Goodbye Berlin - Film - 2016 - Fatih AkinTschick (Goodbye Berlin), di Fatih Akin (Germania)



Cari aficionados di Fatih Akin, il regista di origini turche sembra aver definitivamente intrapreso una svolta dopo Il padre, quella di un cinema d’esportazione che lo ha progressivamente allontanato dalle riflessioni irrequiete attorno al tema del rapporto tra modernità e radici culturali nella società tedesca alla base dei suoi successi autoriali, in primis La sposa turca. Goodbye Berlin (in originale Tschick) è una commedia adolescenziale che si trasforma presto in un delirante, buffo, divertente road movie con protagonisti due quattordicenni molto diversi, uno di famiglia borghese e introverso, l’altro figlio di immigrati e spregiudicato, i quali intraprendono un viaggio a bordo di una macchina rubata che li cambierà per sempre. Il film è una declinazione nobile di un cinema commerciale, ovvero di un cinema che si rivolge a un vasto pubblico, ma senza scorciatoie: pur provando un po’ di nostalgia per il primo Akin, non possiamo non riconoscere al regista la qualità di saper creare situazioni e personaggi con cui è facile entrare in sintonia, grazie a una sceneggiatura e a una messa in scena sapienti nel dosare il ritmo del racconto, nel tratteggiare i lati grotteschi dei personaggi, nel rigenerare con inventiva dinamiche già collaudate. Cinema per tutti, di qualità. (Francesco Siciliano)


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