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Devil's Knot - Fino a prova contraria - Recensione

La storia di tre bambini scomparsi ispira un dramma investigativo-giudiziario che come molti dei suoi simili ha finito di dire quel che aveva da dire prima che le scene si spostino dentro le aule di un tribunale

E’ la metà degli Anni ’90 e in una cittadella della provincia statunitense, fatta di famiglie spiacevolmente normali, tre bambini non tornano a casa dopo essere usciti a giocare insieme nei pressi del bosco che circonda l’abitato. Sembra quasi l’incipit di una fiaba, di quelle fiabe in cui ai piccoli protagonisti nella foresta succede qualcosa, qualcosa che non dovrebbe succedere se se ne stessero a casa. Ed effettivamente è così, ma il prosieguo della storia ha poco o nulla della fiaba e molto della cronaca nera; poche ore dopo la scomparsa, le squadre di ricerca ritrovano i ragazzini scomparsi: nudi, legati, morti dopo essere stati seviziati. Ed è subito caccia al mostro, con testimoni che fioriscono inaspettati e confessioni degli accusati anche troppo ingenue; così, in un tempo relativamente breve, il mostro è identificato in un trio di adolescenti, ognuno con le sue tare, famigliari mentali o comportamentali che siano; ed è presto trovato anche il movente: l’occultismo, la perversione degli adoratori di satana. Segue il processo, l’indignazione dei genitori, della comunità, le condanne veloci, e infine il racconto.
Perché non è con la condanna che la storia si chiude, ma è anzi con quella che il film comincia, ovvero intraprende a seguire i suoi personaggi e la reazione alle vicende che li colpiscono. In particolare, al centro della scena ci sono Pam Hobbs (Reese Witherspoon), madre di una delle vittime, e il detective privato Ron Lax (Colin Firth), che si prende a cuore la causa degli imputati e quasi da solo cerca di rovesciare una ad una le labili tesi a supporto dell’accusa ai tre. Sono loro a muovere il film, loro e le loro interazioni, pure se ridotte all’osso; soprattutto perché ridotte all’osso. Il resto è cronaca prima nera e poi giudiziaria, ispirata a fatti realmente accaduti in una piccola cittadina dell’Arkansas e al processo che ne seguì.
A una prima parte introspettiva e introduttiva, che punta sull’atmosfera e riesce ad avere successo, tenendosi a bagno nel filone magmatico e investigativo, tra la provincia americana e le sue ombre pesanti (in questo avvicinandosi lievemente al serial di recentissimo successo True Detective), Atom Egoyan fa seguire la più classica (e noiosetta) narrazione di vicende di avvocati, giudici, tribunali e imputati che tante e tante volte si sono visti sugli schermi, senza mai quasi bucarli.

E come in gran parte dei film in cui a un certo punto il dibattimento giudiziario si innesta nella successione degli eventi, è molto più interessante e fruttuoso leggere dei fatti reali che vederli rappresentati su schermo.

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