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Storia di una ladra di libri - Recensione

Nella Germania nazista una bambina si vede allontanata dalla madre e adottata da una nuova famiglia: Brian Percival firma un discreto racconto di formazione sullo sfondo della violenza del mondo degli adulti

Realizzare film che trattano argomenti delicati come la violenza della guerra, il nazismo, la vita e la morte è sempre un lavoro difficile. Una sfida che non deve aver spaventato Brian Percivall, a cui è stata affidata la regia di Storia di una ladra di libri, adattamento del romanzo best-seller di Markus Zusak, impreziosito dalle interpretazioni della giovanissima Sophie Nélisse e di Geoffrey Rush ed Emily Watson.
La storia è incentrata su Liesel, una bambina nella Germania nazista che si vede allontanata dalla madre e adottata da una nuova famiglia. La piccola, aiutata dal nuovo padre, inizia ad appassionarsi la lettura. Il suo amore per i libri si scontra con il mondo che la circonda, dominato da un regime nazista che mette al bando qualsiasi testo che va contro gli ideali di Hitler. Le cose si complicano quando Max, un ragazzo ebreo, viene ospitato dalla famiglia di Liesel per un vecchio debito.
Il film si sviluppa bene: l’idea della morte come motore narrativo della storia offre spunti interessanti, anche se a tratti potrebbe risultare un po’ banalizzata. La lettura, passione che accomuna Liesel e Max, è il vero leitmotiv della pellicola: una passione che riesce a far dimenticare, anche se per poco, i terribili momenti della guerra.
L’attrice che interpreta Liesel, Sophie Nélisse, inizialmente risulta poco adatta al ruolo affidatole, ma più passano i minuti e più riesce a calarsi perfettamente nella parte, mettendo in evidenza un’ottima interpretazione complessiva, che dà profondità al suo personaggio, evitando i soliti cliché seppur con qualche caduta. Tuttavia il vero fulcro della storia sta nei personaggi dei genitori adottivi della ragazza, a cui prestano il volto Geoffrey Rush ed Emily Watson. Sono loro che hanno il compito di dare solidità narrativa all’idea di un legame che va man mano costruendosi con la bambina, inizialmente diffidente, durante un periodo storico molto complicato. I due attori svolgono bene il loro compito, mostrando una buona alchimia sullo schermo.
Per il resto l’ambientazione ha un taglio molto tradizionale, convincente nel riprodurre la vita di un piccolo paesino della Germania allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, e la regia trasmette le giuste emozioni in sintonia con i sentimenti vissuti dai personaggi, dalla cantina in cui Liesel e Max leggono che risulta un posto sicuro, che dà un’idea di quiete, fino ai rifugi anti bombe, luoghi cupi e opprimenti.

Il film, nella sua totalità, sa essere un buon romanzo di formazione, capace di emozionare ed anche commuovere. Un lavoro che, per i temi trattati e le modalità di messa in scena, risulta forse più adatto alle giovani generazioni che ad pubblico adulto.

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