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Il grande match - Recensione

Il canovaccio di Rocky preso in mano da uno specialista della commedia. Questa volta il nemico da sconfiggere ha, in apparenza, il volto, l’età e il fisico di De Niro ma, in realtà, si chiama crepuscolo

Chi si aspettava l’ennesimo capitolo ignorante, magari ironico, di Rocky resterà deluso. Questa volta Stallone non c’entra, né come sceneggiatore, né come produttore. Grudge Match (titolo originale) è una divertente e, a tratti, agrodolce commedia che sfrutta in parte i topoi della più lunga saga pugilistica della storia del cinema per realizzare un racconto di rinascita e riscatto, dove l’amore, motore del genere, ha la consapevolezza diffusa e universale data dalla maturità dei protagonisti.
Henry 'Razor' Sharp (Sylvester Stallone) e Billy 'The Kid' McDonnen (Robert De Niro) sono due pugili che si sono contesi il titolo mondiale vincendo, uno contro l’altro, un incontro ciascuno. Alla vigilia del terzo match, quello decisivo, Razor, che detiene il titolo, si ritira improvvisamente dal mondo della boxe causando la fine della carriera per entrambi. Trent’anni dopo, il figlio del suo vecchio manager (lo spassoso Kevin Hart) propone, alle due vecchie glorie, di prestare voce e movimenti ai personaggi di un videogioco di boxe. La registrazione sfocia in una rissa che, ripresa e diffusa in Rete, porterà, contro ogni ragionevolezza, i due antichi rivali a scontrarsi di nuovo sul ring, per una resa dei conti tra loro e con loro stessi.
Gli sceneggiatori Tim Kelleher e Rodney Rothman vengono dai serial televisivi (il secondo ha firmato anche diverse puntate del Late Show di David Letterman) e si vede. L’accumulo di sottotrame e la gestione di una miriade di personaggi minori non li spaventano. Ogni sequenza presenta almeno una gag e lo script è orchestrato in modo da sviluppare con coerenza, se non con originalità, tutte le implicazioni generate dal contesto narrativo. A questo si aggiunga la mano capace e il senso del ritmo di un regista specializzato nella commedia come Peter Segal, ed ecco che un prodotto nato apparentemente per sfruttare fino all’ospizio due icone assolute del genere film sportivo, rivela essere qualcosa di diverso, di più maturo e leggero contemporaneamente. Prima di tutto un film comico. Il già citato Kevin Hart, insieme al quasi ottuagenario Alan Arkin nel ruolo dell’anziano coach di Stallone, battibeccano e inanellano una serie di battute irresistibili, degne delle migliori sit-com. Il bersaglio favorito dei lazzi della scrittura sono gli acciacchi e gli sfregi dell’età: l’incontro di boxe è sponsorizzato dal Geritol (integratore per la terza età), Razor si allena rincorrendo l’allenatore in carrozzina elettrica, la visita del medico sportivo include un controllo della prostata, e così via.
La commedia sentimentale è ben alimentata dal tenero ritorno di fiamma tra Sally (Kim Basinger) e Razor, nonché dalle complicazioni causate dall’antico tradimento di lei a favore di 'The Kid' e dalla conseguente nascita di un figlio, che poi diverrà il coach del padre.
A cornice e ‘senso’ del tutto, c’è il canovaccio di Rocky: sfida, allenamento, incontro finale. Proprio nel match finale, come sempre, si risolvono le tensioni accumulate nel corso della narrazione ma, forse per la prima volta, il nemico mostra il suo vero volto: l’oblio generato dall’anonimato della vita ordinaria o dal suo crepuscolo.

Questi leoni grinzosi, con il loro gesto finale, sportivo e pietoso, forse anche un po’ retorico, rivendicano il loro posto nel mondo, come anziani e come persone, contro un sistema di vita che vuole privare tutti dell’unico bene collettivo rimasto: l’umanità.

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