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Dallas Buyers Club - Recensione

Storia che sembra venire da un passato lontano: l'archeologia dell'AIDS però non regala nulla di nuovo, dopo i fiumi di celluloide e di carta che hanno invaso il pianeta Terra dalla comparsa della malattia. Dallas Buyers Club sembra quasi un revival di un'epoca lontana ben più dei trenta anni effettivi e solo nelle prove degli attori protagonisti regala lampi di vera luce

Dallas, Texas, all'acme dell'esplosione del flagello 'divino' che fu l'AIDS: il puttaniere incallito, fumatore, bevitore, sniffatore, imbroglione e omofobo Ron, appassionato di rodei coi tori, si scopre sieropositivo: impossibile, lui non è come quei "froci rottinculo" (come lui stesso definisce gli omosessuali), lui non si buca, quindi sicuramente c'è un errore. Naturalmente non è così, e sebbene i medici gli abbiano emesso la fatidica (e fallace) sentenza di morte che avverrà entro 30 giorni, l'uomo dapprima rifiuta di accettare il suo destino, ma poi inizia la sua personale e truffaldina battaglia contro l'AZT, unico farmaco allora disponibile, in favore di terapie alternative che si procura in Messico. Trova anche il modo di mettere in piedi un business, creando un'associazione, quella che dà il titolo al film, alla quale rivolgersi pagando una quota di iscrizione che dà diritto alle cure alternative. In questo frangente l'uomo riacquista un po' di quella umanità che sembrava non possedere, sgretolando il personale muro di cinismo, e diventa addirittura amico di un travestito anche lui malato di AIDS, suo socio d'affari.
La storia raccontata, vera come tante che ormai hanno fatto la letteratura di questa malattia, si muove tra atmosfere da brutti sporchi e cattivi texani (sempre più infima palude del Sogno Americano) e dramma archeologico, visto che ormai sull'AIDS è stato scritto, filmato e rappresentato di tutto. Ciò non toglie che il film ha qualche sprazzo interessante, non tanto riguardo alle solite diatribe tra comunità scientifiche alla perenne ricerca di una cura che le case farmaceutiche avrebbero dovuto elargire con larghi profitti, né tanto meno relativamente all'aspetto morale(ggiante), bensì proprio in quel tono, spesso da commedia, che accompagna larghi tratti del film.
Emozionarsi e rimanere colpiti con storie simili ormai è quasi impossibile, tanto ovvie e prive di spunti nuovi ed interessanti: anche l'umana pietà ha un limite di saturazione oltre il quale appare difficile andare, motivo per cui questo Dallas Buyers Club del canadese Jean-Marc Vallée, appare più come un revival di un'epoca lontana, anche più dei quasi trenta anni ormai trascorsi, tanto meno appaiono narrativamente plausibili le tematiche dell'accettazione del diverso e il superamento dei proprio pregiudizi che ormai affondano le radici in ben più pericolosi ambiti.

Tutto quello che rimane del film è l'ottima prova di un Matthew McConaughey, che ci mette molto del suo fisico vicino all'emaciazione per rendersi ancora più credibile, e di Jared Leto che sa ben calarsi nella parte del travestito Rayon: la strana coppia che si forma nella storia è ben assortita e soprattutto nei momenti più leggeri riesce a dare il meglio di sé.

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