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Tracks - Attraverso il deserto - Recensione

Un’intensa Mia Wasikowska, che si conferma attrice di talento con un grande futuro davanti, salva un film dove si fatica a sentire e respirare l’aria di quello che dovrebbe essere il coprotagonista della storia: il deserto

Il deserto come il mare. Bello e pericoloso. Purezza, spazi aperti, un fascino irresistibile raccontato tante volte a parole nei libri e ovviamente al cinema. Distese di sabbia che sembrano richiamare la macchina da presa. Parte dunque da un vantaggio Tracks, il film diretto da John Curran, che si basa sulla storia vera di Robyn Davidson e della sua incredibile traversata in solitario da Alice Springs a Uluru, fino all’Oceano Indiano.
Davidson, accompagnata soltanto dal fedele cane e da alcuni imprevedibili cammelli, percorre 2700 km attraversando il deserto australiano. Peccato che Curran non utilizzi perfettamente questo assist offerto dall’ambientazione. Un uso ingombrante, eccessivo della musica annulla parte dell’anima del deserto, di quei luoghi solitari, inospitali eppure così affascinanti. Manca il suono del vento, della sabbia a completare le sensazioni che non vanno oltre quelle visive. Per fortuna a salvare il film c’è una bravissima Mia Wasikowska, che conferma il suo talento e la sua versatilità. Volto perfetto (e lo si capisce ancora meglio fisicamente sui titoli di coda quando scorrono le foto vere di Robyn Davidson) per interpretare questa donna capace di compiere un viaggio difficilissimo, epico, nel cuore di una terra che rappresenta una delle ultime grandi estensioni desolate del pianeta, di spingersi ai limiti della sua resistenza fisica ed emotiva.
Alla ricerca di se stessi attraverso la solitudine che nel viaggio di Robyn viene ogni tanto interrotta dal contatto con Rick Smolan, giovane fotografo carismatico del New Yorker e di National Geographic che arriva dall’altra parte del mondo per catturare delle immagini di questo viaggio. Una presenza che all’inizio lei accetta con riluttanza: un compromesso che le permette di finanziare la traversata. Un rapporto che però nel film viene sviluppato in modo piuttosto banale. Meglio allora quello con altri compagni di viaggio, a cominciare dagli animali (emoziona quello con il cane) ma anche per esempio con l’anziano aborigeno che l’accompagna nel deserto. La difficoltà nella comunicazione non è barriera, in fondo come dice uno dei personaggi "le parole sono sopravvalutate".

Nel complesso una storia che avrebbe meritato una narrazione più efficace. Così la visione appare un'avventura (nel deserto) abbastanza noiosa, anche se non difficile da portare a termine per uno spettatore non troppo esigente.

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