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Il matrimonio che vorrei

scena-dal film-il-matrimonio-che-vorreiIl peso della gravità, col tempo, non ha effetto soltanto sulla compattezza cutanea. Anche all’amore vengono le rughe. Ed è urgenza lifting

Cosa fare quando le abitudini si trasformano in catene, quando a forza di lamenti l’allegria diventa un motivo di imbarazzo, quando la noia assopisce i sensi e il suono della sveglia al mattino sembra una condanna? Facile, basta partire, destinazione Hope Springs. 
È questo l’antidoto di Kay (Meryl Streep) per superare la crisi con suo marito Arnold (Tommy Lee Jones). 
La coppia ha alle spalle più di tre decenni di matrimonio, sono solidi ma non uniti, vivono insieme, ma dormono in camere separate, si conoscono ma non parlano mai. Un ossimoro sentimentale talmente standardizzato da passare inosservato. Chi può pretendere che due mele ormai mature ritrovino il tempo dell’amore? Che domande, un consulente matrimoniale.
Come ci insegnano le vite travagliate degli yankee alleniani, ad uno psicologo nulla è impossibile. Così Kay - educatissima fino allo stucchevole, tenace oltre l’ammirevole - impone dolcemente ad Arnold - sempre accigliato, con la schiena ricurva e una fissazione maniacale per il danaro (non speso) - un ritiro di una settimana in una cittadina del Maine, per rivolgersi ad un terapeuta di coppia, il dottor Bernie Feld (Steve Carell). 
David Frankel coinvolge un’ampia fetta di pubblico raccontando in modo leggero e drammatico le vicende di due persone più che adulte. La successione degli eventi non è mai prevedibile. Quando sembra che basti una sbornia a recuperare le sorti di un amore perduto, si cade nuovamente in un baratro. E poi ancora diverse direzioni. 
Straordinari gli interpreti. Meryl Streep è una donna opposta a quella che il regista ha messo in scena, con la stessa attrice, nel film Il diavolo veste Prada. Ormai fuori dai panni griffati di Miranda Priestly, l’attrice, con i suoi modi di fare adorabilmente impacciati offre una prestazione convincente in ogni risvolto. Tommy Lee Jones interpreta Arnold con una tale credibilità da avvicinare il suo personaggio allo spettatore al punto di provare ad individuare almeno un membro della propria famiglia con le sue stesse caratteristiche. Steve Carell è impeccabile nel ruolo affidatogli dal regista romantico, efficace e insopportabile al tempo stesso.
Il cinismo di Arnold e le situazioni grottesche in cui si trova spesso Kay si alternano ai momenti più pesanti e regalano scene esilaranti.

Bastano tre personaggi ed un autore ad inscenare la comicità di un dramma coniugale, silenzioso ma abbastanza potente da scalfire un legame teoricamente indiscutibile. Frankel non svilisce mai i suoi protagonisti riducendoli a stereotipi e non sente il bisogno di inserire cliché che, in certi punti, lascia solo sospettare. Non ci sono tragedie represse o cicatrici indelebili, solo cattive abitudini e tante parole taciute. 
 
 
 
 
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