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On the Road

Una immagine tratta da On the RoadDopo la partecipazione in Concorso al Festival di Cannes 2012 arriva nelle sale italiane On the Road, adattamento cinematografico del romanzo manifesto della beat generation

Certi capolavori della letteratura probabilmente meritano di essere lasciati in pace, o quantomeno che gli vengano dedicate maggiori attenzioni se si intende farne una trasposizione cinematografica. Se poi il romanzo in questione è On the Road di Jack Kerouac, ovvero uno dei capisaldi della letteratura moderna traslata nella beat generation, quello che Bob Dylan definiva “un libro che ha cambiato la mia vita, e quella di molti altri”, bisogna avere l’onestà intellettuale di riempirsi le scarpe di piombo prima di affrontarlo.
Walter Salles, regista brasiliano degli ottimi Central do Brasil e I diari della motocicletta, potremmo definirlo un esperto del genere on the road, con il quale ha dato prova (soprattutto nel film del viaggio 'iniziatico' del Che) di saper condurre i propri personaggi verso quel naturale percorso di crescita e consapevolezza che si srotola lungo le strade, che esse siano quelle in terra battuta del Sud America o di catrame degli Stati Uniti. Fra i credits del film, in veste di  produttore esecutivo, figura Francis Ford Coppola, e non è un caso; infatti, il regista americano aveva ottenuto tempo fa un’opzione sui diritti del romanzo, ma a più riprese ha visto sfumare il progetto di farne un film. Ma Coppola non è stato il solo a sognare di fare un film sull’opera di Kerouac, e se negli anni diversi registi hanno tentato la titanica impresa, senza riuscirci, le ragioni del fallimento vanno ritrovate nell’intrinseca natura del romanzo stesso.
Basato sui vagabondaggi dello stesso Kerouac insieme al suo compagno d’avventura Neal Cassady con il quale, per alcuni anni, percorse avanti e indietro il tragitto da New York a San Francisco, passando per Denver, solcando tutto il continente in macchina, il libro è sostanzialmente scritto come un resoconto/appunti di viaggio su tutte le centinaia di persone incontrate e le scorribande più impensate al ritmo di un jazz indiavolato. Sono gli anni Cinquanta del perbenismo americano, dove il maccartismo era una precisa visione della vita, ed è in questo frangente che si dispongono le diverse storie, tutte accomunate da un profondo senso di solitudine ed inadeguatezza nei confronti della vita.
Dean Moriarty (Cassady) e Sal Paradise (Kerouac), i due protagonisti, sono i detentori di quel 'La' dal quale si dipaneranno le rivolte sociali degli anni Sessanta, simbolo di una generazione che si ribella a delle regole predeterminate. Il film di Salles, sceneggiato dal fedele collaboratore Jose Rivera, viene schiacciato sotto il peso di una drammaturgia troppo votata alla frenesia, e soccombe nel momento in cui i personaggi faticano ad essere approfonditi.

Quell’intrinseco bisogno di libertà, del continuare ad andare come se la strada fosse l’infinito al quale votarsi, unito ad un profondo senso del riprendersi il proprio passato, sono gli elementi principali di un romanzo che ha segnato il corso e percorso delle generazioni successive, al quale purtroppo in questo adattamento cinematografico non viene resa giustizia.

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