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Bed Time

Una immagine di Bed TimeCésar non sa cosa sia la felicità. Non l'ha mai provata. Cosa c'è, allora, di più irritante del vedere la gioia nello sguardo e nella vita degli altri? Unica via d'uscita: rendere tutti infelici come lui

Travestito da horror, il nuovo film di Jaume Balagueró è in realtà una riflessione sul principio di piacere, sul male e le sue incarnazioni, sulla mendacità della felicità borghese.
Il protagonista è un mostro o, piuttosto, un (povero) diavolo, depresso e sempre sull'orlo del suicidio. Non riesce a condividere l'esperienza della felicità ordinaria, quella che ci fa essere allegri la mattina perché c'è il sole o perché abbiamo un amore cui pensare. A lui queste esperienze sono negate. È fatto così. Che colpa ne ha se l'unica cosa che gli fa sentire di essere vivo, che gli dà piacere, è distruggere la felicità di chi lo circonda?


A questo fine lo vediamo penetrare (e il verbo non è casuale) nella vita di un'inquilina dello stabile che ha in custodia e, a poco a poco, sgretolarne l'irremovibile felicità che la anima. Non rivelerò se la sua impresa avrà successo, fallirà o altro. Altrimenti sarei come lui.
Racconto invece il coraggio del regista nel percorrere strade diverse, rispetto i binari oleati del film di genere, fatti di colpi di sonoro e litri di sangue. Della ricerca di un orrore che, pur nella particolarità maligna del personaggio, si fa esistenziale, quasi universale. Dell’incapacità di essere normali, di trovare la felicità nella normalità e della necessità di crearsene un’altra, demiurgicamente, non importa a che prezzo.
César sarebbe piaciuto a Nietzsche.
A noi spettatori un po’ meno e non per motivi filosofici.
Il film, nonostante le potenzialità, fatica a decollare. La lunga fase di presentazione del personaggio, per quanto a posteriori narrativamente coerente,  annoia non poco. Il racconto è in prima persona ma il profilo volutamente basso tenuto dal protagonista impedisce un’autentica e liberatoria identificazione. Impossibile anche immedesimarsi nella vittima, troppo irritantemente felice, stupida e ‘intimamente’ insensibile (le virgolette hanno un senso), per provare reale compassione o partecipazione.
Si resta così, sospesi e indifferenti, come chi guarda dai finestrini dell’auto la scena di un incidente, mai coinvolti fino in fondo, tranne forse quando il mostro rischia di essere scoperto, eppur coscienti dell’originalità di quanto stiamo osservando.
Forse sarebbero bastati un montaggio diverso o una maggiore caratterizzazione della genialità del protagonista, che si evidenzia solo verso la fine nello splendido congedo con l’anziana inquilina, per generare la magia del cinema, ossia emozionarsi per qualcosa che non esiste.

Peccato per le buone intenzioni che hanno mal lastricato l’inferno di un diavolo che avrebbe meritato un miglior posto in paradiso.

Vai alla scheda del film




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