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Acrid - Recensione (Festival di Roma 2013 - Concorso)

Racconto circolare a staffetta su coppie di tutte le età e di tutti i ceti sociali in crisi profonda in cui a regnare è l'odio ed il rancore: Acrid affronta con equilibrio e lucidità l'argomento, lasciando da parte problematiche sociali e politiche

Una chiara e tracciabilissima linea circolare traccia il percorso del film iraniano Acrid del regista Kiarash Asadizadeh, in concorso all'ottava edizione del Festival di Roma: storie di coppie di tutte le età e di tutte le realtà sociali del'Iran moderno, svincolate da sottofondi sociali e/o politici, si svolgono sotto gli occhi dello spettatore.
La coppia dell'alta borghesia, ginecologo lui infermiera lei (cocktail esplosivo per definizione), alle prese con la crisi coniugale di mezza età che si abbatte su di lui (impenitente donnaiolo) e su di lei totalmente rancorosa verso il marito; la coppia del ceto medio con lei segretaria del ginecologo di cui prima e lui titolare di un'autoscuola con amante che vivono con ferocia ed odio il loro rapporto non risparmiando scenate dolorose ai giovani figli; la giovane insegnante, amante del tassista, a sua volta mollata da un uomo violento e la sua amica alle prese con un marito ubriacone dal quale non riesce a liberarsi, la coppia giovane, poco più che adolescenziale che vive il suo rapporto amoroso nelle mura dei campus universitari ma che ben presto scoprirà il dramma della disillusione. Tutte le storie, come detto, sono collegate tra loro, iniziano e finiscono e si passano il testimone, fino a quando la giovane ragazza che fugge dal fidanzato infedele non si ritrova tra le braccia del padre, il ginecologo dell'inizio primum movens di questo gioco a staffetta, a chiudere un cerchio quasi perverso nella sua perfezione.
Ritratti di donne apparentemente isteriche, ma nella realtà insoddisfatte e sopraffatte dalla protervia maschile, qui acuita dalle usanze e dalla religione, uomini che ne escono con le ossa rotte, dove neppure l'influsso culturale sul ruolo della donna può servire da giustificazione, odio profondo, viscerale che alimenta rapporti marci e in decomposizione forieri di crisi profonde e di insoddisfazione distruttiva: Acrid è tutto ciò, raccontato a dire il vero anche con toni che non sono lugubri come spesso abbiamo visto in questo festival, bensì misurati ed equilibrati e perciò meglio digeribili.

Siamo lontani dai film iraniani di denuncia: questo Acrid è più un lavoro ben compenetrato nella realtà, asettico socialmente e politicamente, che racconta solo stati d'animo e lacerazioni profonde con la giusta pulizia narrativa. Il film ci regala una fotografia delle famiglie iraniane abbastanza convenzionale, molto simile a quelle occidentali. Solo il mondo giovanile appare lontano anni luce: nei campus iraniani ci si riunisce la sera nei dormitori per mettere in piedi giochi di società, senza spinelli né alcolici.

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