Extra cinema: speciali, interviste, approfondimenti e rubriche

Ti trovi qui:HomeCinema e dintorniExtra cinemaFar East Film Festival 2019: intervista a Mirai Konishi e Miho Imada

Far East Film Festival 2019: intervista a Mirai Konishi e Miho Imada

“Il sake è come l’aikido: non fa a botte con nessuno, anzi con la sua forza riesce ad aumentare il potenziale originario di ogni cibo”. Incontro con Mirai Konishi, regista di Kampai! Sake Sisters, e Miho Imada, tra le prime donne mastro distillatore della bevanda simbolo del Giappone e protagonista del documentario presentato al Far East Film Festival 2019

Tre donne, tre vite, una passione: il sake. Mirai Konishi torna a raccontare la bevanda simbolo del Giappone qualche anno dopo Kampai! For the Love of Sake e lo fa scegliendo un nuovo punto di vista: quello femminile in un ambiente tradizionalmente maschile. Kampai! Sake Sisters si concentra su Miho Imada, una pioniera come produttrice di sake e innovatrice della distilleria di famiglia, Marie Chiba, sommelier di talento e proprietaria di un bar d’avanguardia a Tokyo, e Rebekah Wilson-Lye, neozelandese che trasferitasi in Giappone ha studiato molto il sake diventando una promoter di successo.

Konishi, come sono state scelte le tre donne protagoniste del documentario?
Sono partito da Marie Chiba, conoscevo il suo sake bar come cliente. Poi ho pensato alla promoter Rebekah, mi incuriosiva perché lei è un’esperta straniera. La parte più difficile è stata trovare la distilleria giusta, ce ne sono ormai diverse gestite da donne. Sapevo, però, che Miho Imada era una pioniera e dopo aver conosciuto anche il suo passato mi sono convinto fosse proprio lei la persona giusta per il film.

Guardando il documentario scopriamo che lei, signora Imada, ha studiato a Tokyo e dopo la laurea è tornata al lavoro artigianale di famiglia. Quando ha deciso che il sake sarebbe stata la sua vita?
In verità all’inizio volevo soprattutto guadagnare per essere indipendente con le mie forze. Poi ho scoperto la bellezza di questo mestiere che per me non è soltanto un lavoro. Da ventisei anni è la mia vita.

Oltre a essere una pioniera come donna che produce sake, in un certo senso ha anticipato una tendenza che oggi si sta pian piano diffondendo in molte parti del mondo: quella del ritorno dei giovani alla campagna, a uno stile di vita diverso da quello delle grandi città e non legato all’ambizione di una carriera da ufficio. In Giappone com’è la situazione da questo punto di vista?
Non mi spingerei a dire che sono tante le persone che scelgono un percorso simile al mio. Il Giappone ha problemi di spopolamento nelle zone rurali, anche per le difficoltà di trovare lavoro rispetto alle città che offrono più opportunità. Però è vero che la percezione dello stile di vita dei giovani di oggi è cambiato, quindi forse rispetto a una volta sono meno quelli che pensano di volersi inserire all’interno di un’azienda e trascorrervi il resto della propria vita.

Lei hai scelto il sake, perché solo di recente le donne finalmente si stanno affermando in questo mondo?
Ci sono dietro motivi culturali e pratici. In passato la produzione di sake richiedeva un enorme sforzo fisico. Era un compito che solo un team di uomini era in grado di eseguire e si pensava che permettere alle donne di lavorare nella squadra avrebbe rovinato l’armonia.

In che modo oggi la presenza femminile può essere incrementata in quest’ambito lavorativo?
In generale in questo momento in Giappone si stanno attuando molte riforme nel mondo del lavoro e si sta cercando di creare un ambiente in cui sia sempre più facile lavorare anche per le donne. Per quanto riguarda il settore della produzione del sake, bisogna pensare che si tratta di un lavoro per il quale è richiesto un impegno costante. Certo, le condizioni sono senza dubbio migliorate, adesso c’è la possibilità di utilizzare macchinari, non è più necessario sollevare con la forza delle proprie braccia grandi pesi. Questo apre alle donne nuove e maggiori possibilità. Per esempio la metà delle persone che lavorano nella nostra cantina sono donne e sicuramente in futuro sempre più aziende produttrici avranno una quota rosa importante.

Nel documentario c’è una giornalista che parla del differente approccio al sake tra donne e uomini, sottolineando come la sensibilità femminile rispecchi un’idea moderna legata al consumo della bevanda in abbinamento con il cibo di qualità. Mentre per gli uomini è tradizionalmente quasi un mezzo di sfogo, per dimenticare lo stress dopo il lavoro. Un’immagine trasmessa anche dal cinema, basta pensare tra i tanti film a Sanma no aji di Ozu che in italiano è conosciuto come Il gusto del sake. Voi cosa ne pensate?
Konishi: Per quanto mi riguarda, devo dire che mi sono avvicinato al sake soltanto di recente. Non mi interessava prima e mi faceva pensare, proprio come si vede nei vecchi film, a uomini di una certa età che bevono solo per ubriacarsi. Ho iniziato ad apprezzarlo proprio con la produzione dei documentari che ho fatto sull’argomento. Oggi non credo più che sia semplicemente una bevanda per sfogare la frustrazione. Mi sono innamorato del sake e ho scoperto anche come siano piacevoli e divertenti i vari abbinamenti. E da questo punto di vista forse è vero che c’è una differenza nell’approccio tra uomini e donne, perché senza dubbio le donne si sono dimostrate più sensibili nel creare questa attenzione per gli abbinamenti. Inoltre quando vedo gli uomini che bevono sake, ho l’impressione che si fissino su alcuni dettagli tipo la gradazione o altro e questo alla fine li porta ad avere una visione più chiusa. Invece le donne percepiscono in modo più semplice e libero quello che consumano, hanno una visione più aperta e riescono così ad apprezzarlo meglio.
Imada: Sono d’accordo (ride).

A proposito di abbinamenti, agli italiani che conoscono poco o niente il sake che consigli potete dare sull’accostamento con il cibo?
Imada: Come esempi di abbinamenti ottimi, mi permetto di consigliare sake e formaggio oppure sake e prosciutto crudo. Più in generale c’è da dire che la cucina italiana rispetta tantissimo l’ingrediente al naturale e questo è un punto di contatto forte con la cucina giapponese, quindi invito tutti a fare dei tentativi di accostamento senza paura.
Konishi: In Giappone si dice che il sake non litiga con alcun piatto, questo perché si riesce ad abbinarlo quasi con tutto. Per il vino invece si tende di più a fare differenze a seconda dei piatti e per certi non è facile trovare quello che si adatti bene. Per esempio le uova di pesce sono molto difficili da abbinare con un vino, invece sono perfette con il sake che ne esalta la bontà. Quindi non solo il sake va bene indicativamente con tutto, ma a volte riesce a dare un qualcosa in più al sapore di base. È come l’aikido: non fa a botte con nessuno, anzi con la sua forza riesce ad aumentare il potenziale originario.

Il documentario promuove la conoscenza di questo prodotto giapponese e del lavoro femminile. Ci sono altre produzioni e mestieri tradizionali che le piacerebbe raccontare sempre dal punto di vista delle donne?
In realtà non sono partito da questo presupposto, ma dall’empatia che ho con gli outsider. In questo settore appunto le donne. Mi attrae sempre l’idea di una minoranza che riesce a farsi avanti in condizioni non favorevoli.


Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

Lascia un commento

Assicurati di inserire (*) le informazioni necessarie ove indicato.
Codice HTML non è permesso.

Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi avere maggiori informazioni, leggi la Cookies policy.