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Far East Film Festival 2019: intervista a Bai Xue

La regista cinese ci racconta The Crossing, il suo film d’esordio. Il lavoro di preparazione, le scelte stilistiche, il rapporto con il mentore Tian Zhuangzhuang

È stato il Far East Film Festival delle opere prime. Tante quelle in competizione e molte degne di note. Tra queste merita sicuramente di essere citata The Crossing di Bai Xue, dove la vitalità di una storia raccontata da una giovane regista si sposa con un equilibrio difficile da trovare in un film d’esordio. Non a caso già apprezzato in altri importanti festival internazionali dov’era stato proiettato prima del passaggio a Udine. Al centro del racconto una ragazza di nome Peipei (notevole l’interpretazione di Huang Yao) che vive a Shenzen e ogni giorno attraversa il confine per andare a scuola a Hong Kong. A una festa conosce dei ragazzi che fanno parte di una banda di criminali specializzata nel traffico illegale di iPhone tra la Cina continentale e l’ex colonia britannica e finisce per diventare il loro corriere.

Come nasce questa sua opera prima?
Penso che riuscire a fare il primo lungometraggio sia sempre difficile. Solo diversi anni dopo essermi diplomata all’Accademia di Pechino ho avuto questa possibilità, grazie al programma di sostegno ai giovani registi finanziato dal governo e da grandi società.

Il film mostra una rappresentazione molto realistica. Che tipo di preparazione ha svolto per scrivere la sceneggiatura?
Ho iniziato a pensare a questa storia più di tre anni fa, un’idea legata anche alla mia familiarità con Shenzen, dove ho vissuto con i miei genitori prima di andare a studiare a Pechino. Ho fatto un intenso lavoro di ricerca, cercato informazioni sul mercato dei telefonini contraffatti e tante interviste per capire il mondo dei giovani che si spostano ogni giorno tra Shenzen e Hong Kong. Pian piano ho così sviluppato la trama. Scritta la sceneggiatura e ottenuto i finanziamenti, abbiamo finalmente potuto girare. Le riprese sono durate 38 giorni.

Nei titoli di testa si legge il nome di un autore importante come Tian Zhuangzhuang, produttore esecutivo del film. Com’è stato coinvolto nel progetto?
È stato mio insegnante quando frequentavo l’Accademia. Siamo diventati amici e rimasti in contatto, così quando ho finito di scrivere il progetto è stato il primo a cui ho fatto leggerlo. Lui ha mostrato subito grande interesse, mi ha sostenuta e abbiamo iniziato a lavorare insieme. Un produttore esecutivo sempre vicino, però mai invadente. Mi ha spiegato che le decisioni spettano al regista e grazie a lui ho imparato a essere più determinata.

Il film si concentra su Peipei, personaggio magnificamente interpretato da Huang Yao. Come ha scelto la giovane attrice che si è meritata diversi premi per questo film?
Sono stata molto fortunata a trovarla. Il successo del film e l’empatia che lo spettatore prova per Peipei sono sicuramente da attribuire in gran parte a lei. Me l’ha presentata un amico che lavora come agente e abbiamo lavorato a lungo insieme per la preparazione. Ha studiato per cinque mesi il personaggio, adattandosi benissimo a interpretare questa sedicenne anche se lei in realtà ne ha più di venti.

Dal punto di vista estetico si nota un’interessante differenza tra la parte delle riprese a Hong Kong e quelle a Shenzen. Come mai ha voluto utilizzare due stili diversi?
Sì, è stata una scelta precisa che rispecchia l’idea che avevo sin dall’inizio. Per girare a Hong Kong abbiamo puntato di più sulla camera a mano, mentre in Cina  ho prediletto le inquadrature fisse. Fotograficamente volevamo rappresentare le caratteristiche dei luoghi, descrivere visivamente due mondi diversi. Hong Kong è più frenetica, movimentate e dal punto di vista urbano più stretta, verticale. Shenzen invece è maggiormente tranquilla, calma e abbiamo pensato per questo a comporre le inquadrature in un altro modo, con immagini più fisse e campi lunghi. Due stili che riflettono due realtà e modi di vivere differenti e anche lo stato d’animo di Peipei quando passa da un luogo all’altro attraversando il confine ogni giorno.

Questo concetto è stato ripreso anche nella fase di montaggio, curata da Matthieu Laclau che conosciamo come collaboratore di un maestro del cinema cinese qual è Jia Zhang-ke?
Al montaggio abbiamo lavorato su certi aspetti del ritmo, ma la differenza è alla base. La dualità del linguaggio nasce nella fase delle riprese, con la predilezione per la camera a mano mentre giravamo a Hong Kong e per le inquadrature fisse quando eravamo a Shenzen.



Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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