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Prendi il premio e scappa: ecco 5 cine-meteore

Dopo la vittoria a sorpresa ad un festival blasonato, che cosa hanno fatto? Ecco cinque registi che hanno fatto (quasi) perdere le loro tracce...

Dopo che un film ha vinto il premio più ambito a un festival cinematografico europero, che succede? Come si sviluppa la carriera artistica del regista, soprattutto se ha vinto battendo tutti i pronostici, magari, con un'opera prima? Ciò che vi proponiamo sono 5 film di 5 registi che hanno vinto in maniera sorprendente un festival di cinema in Europa e che dopo, per diverse motivazioni, hanno quasi o del tutto fatto perdere le loro tracce o che non sono riusciti a confermarsi.
I festival cinematografici nel mondo sono molti, più o meno famosi. Tra quelli che propongono un concorso riservato ai lungometraggi, la vecchia Europa ne ospita la maggior parte: Venezia, Cannes, Berlino, Locarno, San Sebastian, Londra, Rotterdam, Torino e da alcuni anni Roma tra i principali. Essi sono approdi ambiti e vetrine sfavillanti per tutti i registi. È inutile nasconderlo: ogni uomo che crea un film di finzione o un racconto per immagini, soprattutto se agli esordi o al primo lungometraggio, spera che il proprio lavoro sia presentato, un giorno, in uno di questi festival. Arrivare, poi, alla vittoria rappresenta il miglior risultato. È successo, infatti, che a vincere Leoni, Orsi, Pardi o Palmette d'oro in passato sia stato, sorprendentemente, un regista con all'attivo solo alcuni corti o documentari o nemmeno questi.
A conclusione, dunque, del giro festivaliero del 2013 vogliamo proporre 5 lungometraggi che hanno vinto inaspettatamente il concorso principale tra Venezia, Cannes, Berlino e Locarno nelle edizioni a partire dal 2000. Se dei registi proposti conoscete passato, presente e futuro cinematografici potete considerarvi degli ottimi esperti di cinema. Non vale consultare IMDB!

5. José Padilha è un brasiliano di 46 anni, laureato in economia e politica all'Università di Rio de Janeiro che a un certo punto della sua vita sente la vocazione per il cinema. Cominica la sua avventura con documentari (Bus 174 del 2002, Brazil's Vanishing Cowboys del 2003), poi nel 2007 realizza il suo primo lungometraggio Tropa de Elite – Gli squadroni della morte, una produzione brasiliano-americana che tra i produttori esecutivi annovera i fratelli Weinstein. Il film a sopresa vince il Festival di Berlino la cui giuria quell'anno era presieduta dal maestro Costantin Costa-Gravas. La pellicola narra in maniera cruenta e realistica: si ricordano, a tal proposito, con un certo orrore le scene di tortura, le azioni contro il traffico di droga di alcuni membri del BOPE, il celebre battaglione per le operazioni speciali della Polizia Militare di Rio. Oltre che per la vittoria inaspettata a Berlino, il film è diventato famoso per la critica del regista nei confronti dei consumatori di droga, colpevoli, a suo parere, di alimentare il traffico di stupefacenti e la violenza nelle favelas. Prima della presentazione a Berlino e dell'uscita nelle sale, circolò una copia pirata della pellicola che fu vista da 11 milioni di brasiliani. Portato a casa l'orsetto d'oro, comunque, il nostro Padilha è tornato a girare principlamente documentari, intervallati da Tropea de elite 2 – Il nemico ora è un altro (2010). Il 2014 si prospetta un anno interessante per il regista brasiliano che ha in uscita RoboCop e sta ultimando di girare Rio, eu te amo. Non si sa mai che ci scappi un altro inatteso premio!

 

4. Nel 2011 il Pardo d'oro al Festival di Locarno fu assegnato a un film argentino: Back to stay diretto dalla talentuosa Milagros Mumenthaler. La pellicola narra di tre sorelle in adolescenza rimaste sole nella casa di famiglia dopo la morte della nonna. Il clima all'interno dell'abitazione è apatico e le vite delle tre si trascinano con indolenza e dolore, incastrate tra una vita da inventare e un passato ingombrante. L'età adulta può rappresentare il momento della rinascita. Il film della Mumenthaler fu apprezzato per la tecnica antropologica e profondamente analitica con cui riuscì a narrare la psicologia e la storia delle sorelle. La regista argentina, successivamente a Back to stay, ha realizzato un solo cortometraggio nel 2012 dal titolo Menuet, tornando alla forma di narrazione prediletta.



3. Il 2000 fu l'ultima edizione del Festival di Locarno diretta da Marco Muller. Quell'anno arrivò in concorso un cinese dalla vita travagliata, passata attraverso la separazione dei genitori in giovanissima età, la galera, la marina, lo studio della medicina, per approdare, in ultimo, alla scrittura. Stiamo parlando dello scrittore Shuo Wang. Definito dal New York Times il Kerouac cinese per il suo stile graffiante e rivoluzionario, Wang durante il suo percorso di vita ha deciso, anche, di avvicinarsi al cinema prima come sceneggiatore di serie tv, poi come attore e infine come regista. Al suo attivo ha, però, soltanto un lungometraggio, Father (Baba) del 2000 che vinse, appunto, il Pardo d'oro al Festival di Locarno. Come indica il titolo la vicenda analizza la figura di un padre vedovo, funzionario basso di partito, che cerca disperatamente di trovare un legame con il figlio, arrivando addirittura a ubriacarsi insieme alui. Nel porsi nei confronti del ragazzo il padre è spesso violento e molesto. Stanco della situazione il giovane decide un giorno di trovare una nuova donna al padre e sceglie la madre di un suo compagno di scuola. Da quel momento il rapporto tra i due uomini comincia a cambiare. Oltre che per la vittoria a Locarno, Father è famoso per essere stato censurato per otto anni in Cina. Shuo Wang ad oggi non ha più realizzato un lungometraggio ed è molto popolare tra gli studenti cinesi e oppositori al regime per aver reso noti gli aspetti più oscuri della nuova Cina attraverso i suoi libri.

 

2. Uno dei casi più eclatanti di vittoria di un semi-sconosciuto ad un festival europeo è capitato a Berlino. Nel 2005 l'Orso d'oro fu assegnato a Mark Dornford-May, regista sudafricano che con il primo lungometraggio e primo lavoro in assoluto dietro la macchina da presa si aggiudicò il premio più ambito. Il film premiato è U-Carmen eKhayelitsha e prende spunto dalla Carmen musicata da George Bizet. Il regista ambianta la sua vicenda in Sudafrica e narra della relazione tra Carmen e il poliziotto Jongikhaya. I due si conoscono nella fabbrica di sigarette dove lavora la donna, flirtano e si innamorano. Dopo aver dato a Carmen l'anello di sua madre come pegno d'amore, l'uomo lascia la polizia, sotto spinta della donna, per darsi al contrabbando di sigarette. Qui, durante un'operazione, Jongikhaya si ingelosisce di Carmen, colpevole di aver parlato con un altro uomo. Il finale è noto dall'opera e il regista sudafricano non lo cambia di una virgola. Dopo questa bella e sorprendente vittoria, Dornford-May ha relaizzato un altro film, Son of Man, nel 2006, per poi prendersi una lunga pausa di silenzio. Il regista è stato riavvistato quest'anno con il corto Noye's Fludde – Ungumbe.

 

1. Se Mark Dornford-May rappresenta una vittoria senza precedenti per un festival europeo, quello che vi stiamo per proporre rappresenta qualcosa di unico per l'esperienza passata del regista e per quello che (non) ha creato dopo. Stiamo parlando di Samuel Maoz. L'anno in questione è il 2009 e il festival è la 66esima Mostra del Cinema di Venezia. Quell'anno il presidente di giuria era Ang Lee che fino all'ultimo, si dice, era indeciso se assegnare il Leone d'oro a Soul Kitchen di Fatih Akin, a Donne senza uomini di Shirin Neshat o a Lebanon di Samuel Maoz. Alla fine al turco fu assegnato il Gran Premio della giuria, alla videomaker iraniana il premio speciale per la regia e fu eletto vincitore Maoz. Lebanon racconta un pezzo di vita del regista, che da giovane si trovò carrista nell'esercito israeliano durante la guerra del Libano. Il film si svolge tutto all'interno del carroarmato in cui (soprav)vivono i quattro militari portagonisti. Maoz è stato impeccabile nel trasmettere quell'atmosfera palpitante, carica di tensione e dolore e a far provare al pubblico cosa vuol dire per un giovane ragazzo, uccidere per restare vivi. Forse proprio la gigantesca carica emotiva con cui il regista dirige il suo film, non gli ha permesso di produrre nient'altro dopo la vittoria a Venezia. Maoz, che nel 2000 realizzò il suo primo lavoro, un documentario dal titolo Total Eclipse, annovera il suo nome tra quelli che hanno realizzato un corto per Venice 70: Future Reloaded, la serie di cortometraggi firmati dai registi internazionali per celebrare i 70 anni della Mostra del Cinema di Venezia. Aspettiamo ansiosi, quindi, il prossimo segno di cinema di Samuel Maoz.

 





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