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Sapi - Recensione (AsiaticaFilmMediale 2013)

Enigmatico lavoro per Brillante Mendoza: Sapi miscela lo stile del regista filippino con una riflessione sul mondo dei media e qualche manciata di horror sui generis


Brillante Mendoza è regista che soprattutto negli ultimi anni ha spaziato all'interno dei vari generi cinematografici, mantenendo però sempre una certa coerenza tecnica e narrativa. Sapi è stato un po' troppo teatralmente etichettato come il primo film horror girato dal cineasta filippino: in realtà il film, pur presentando aspetti del genere, peraltro piuttosto accennati e non particolarmente raffinati dal punto di vista tecnico, lascia piuttosto interdetti perché in più di una occasione si ha l'impressione di assistere ad una sorta di riflessione demoniaca dell'autore ben poco esplicitata.
Quello che invece più emerge nel film è una caustica e spietata critica del mondo dei media e dell'informazione. La storia infatti racconta di due troupe televisive di compagnie diverse che si affannano alla ricerca di immagini di persone possedute, evento che durante le piogge torrenziali si verifica con più frequenza. Nonostante qualche tentativo di portare le telecamere ad occuparsi di problemi sociali più gravi, la politica dello scoop e del voyeurismo ha il sopravvento al punto che un cameraman imbroglione pensa bene di vendere alla compagnia rivale le uniche immagini che riprendono un caso di possessione. Quando però i fenomeni di possessione, o comunque strani comportamenti, si verificano nei protagonisti della truffa, ecco che il film vira sulla critica sarcastica e grottesca dei media.
Indemoniati che sembrano la brutta copia de L'esorcista, incubi e ossessioni, spesso a sfondo sessuale con tanto di parto di un serpente enorme, gettano manciate di horror molto psicologico a dire il vero, in un racconto che smaschera la totale assenza di etica e di morale all'interno dei networks. In questo contesto il Mendoza che conosciamo è ben intellegibile: grande uso della macchina da presa in spalla, frequenti riprese di piogge torrenziali, sguardi fugaci su un sottoproletariato urbano ai margini, realismo quasi documentaristico, superstizione ed effigi sacre mescolate in un assurdo sincretismo, fanno di Sapi un lavoro in cui la firma è chiarissima, semmai rimane avvolta da una certa oscurità il senso ultimo del film: il diavolo sta dappertutto e punisce quasi fosse un giustiziere? I media inseguono solo quello che crea audience, alimentandolo, in un demoniaco loop?

Sapi non è certo tra i film migliori di Mendoza né tanto meno un horror da ricordare (molto più orrorifico Kinatay, ad esempio), però lascia qualcosa dentro e comunque suscita curiosità.

Vai alla scheda del film

 

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