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Si alza il vento - Recensione

Il grande ritorno del maestro dell’animazione con un film bellissimo che segna, per la sua particolarità rispetto alle opere precedenti, una nuova strada nella produzione miyazakiana. In concorso a Venezia 70

La brutta notizia è che Hayao Miyazaki non c’è. La speranza dei tanti appassionati di trovarsi di fronte a un dio, al dio dell’animazione, era già tramontata nei giorni precedenti il festival con l’annuncio dell’assenza al Lido del maestro giapponese. La bella notizia è che Kaze tachinu (The Wind Rises il titolo inglese, Si alza il vento in italiano) è un’opera divina come lo stesso Studio Ghibli non riusciva più a tirar fuori da almeno La città incantata.
La storia è quella di Jiro che sogna di volare e di progettare splendidi aerei. Miope sin dalla più tenera età non può esaudire il primo, ma ispirato dall’ingegnere italiano Caproni mette tutto se stesso per realizzare il secondo.
Il film ripercorre parte della sua vita e in filigrana la storia del Giappone grosso modo tra gli anni Venti e l’inizio della Seconda guerra mondiale. Per creare il personaggio, Miyazaki mette insieme l’ingegnere Jiro Horikoshi e lo scrittore Tatsuo Hori, autore di Kaze tachinu che prende il nome dai famosi versi di Paul Valery – “S’alza il vento, bisogna tentare di vivere” – citati anche nel film. Miyazaki si ispira dunque a un personaggio realmente esistito e questa non è l’unica peculiarità di un’opera che si distanzia notevolmente da tutta la produzione precedente. Non ci sono creature magiche, non c’è l’ormai classica eroina miyazakiana, non è un film per bambini (se mai agli altri si può dare questa classificazione che va sicuramente stretta alla produzione Ghibli così universale e di alta qualità), non appare un messaggio definito come in altri lavori. Forse per questo l’uscita del film in Giappone a luglio (quella di Venezia non è un’anteprima mondiale) è stata seguita da polemiche con alcune critiche a Miyazaki additato perfino di militarismo. Assurdità. Come dare del pacifista ai peggiori guerrafondai della storia. Miyazaki come Jiro ama gli aerei, anche gli aerei militari, ma la contraddizione è solo apparente: la condanna della guerra è sempre stata uno dei temi ricorrenti della sua poetica.
La narrazione principale si concentra, come detto, sulla vita di Jiro, sulla sua passione per la progettazione degli aerei. Sul suo sogno di costruire uno splendido aereo. E la dimensione onirica è ben presente nel film: nel mondo dei sogni il protagonista incontra Caproni che lo guida in questa sua avventura che trova poi sostegno pratico nel rapporto con gli amici e colleghi. Alla sua attività come progettista si intreccia la tenera storia d’amore con Nahoko e in sottofondo la storia del Giappone, che in quegli anni rincorre le maggiori potenze industrializzate. Come la Germania che Miyazaki mostra in un passaggio con la solita straordinaria abilità nel disegnare le ambientazioni.

Il film, manco a dirlo, visivamente toglie il fiato con i dettagli delle campagne, delle città, degli interni degli edifici, degli aerei. Marchio di fabbrica di Miyazaki, capace sempre di incantare con la cura e la bellezza della sua animazione e di rinnovarsi continuamente nelle storie che racconta, qua in modo ancora più radicale.

P.S.: Il film sarà nelle sale italiane per un periodo limitato (il 13, 14, 15 e 16 settembre 2014).

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