Himizu
- Scritto da Francesco Siciliano
- Pubblicato in Asia
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In un Giappone scosso dalla tragedia dell'11 marzo 2011, giorno in cui si è verificato un forte terremoto che ha provocato morti e distruzioni nella zona settentrionale del Paese, Sumida, uno studente delle scuole medie, non ha alcuna ambizione personale se non quella di diventare un uomo comune, di condurre un'esistenza tranquilla nella casa di famiglia in riva ad un fiume e di guadagnarsi da vivere gestendo un'attività di noleggio barche. I suoi progetti per il futuro sono intralciati dal clima di disperazione che si respira nella società giapponese dopo il cataclisma, ma soprattutto dai problemi familiari che lo attanagliano, causati dalla madre, che lo ha abbandonato per fuggire con il suo amante, e dal padre, un ubriacone che non perde occasione di maltrattarlo. Stanco di dover sopportare sofferenze ed umiliazioni che non gli permettono di diventare la persona che avrebbe voluto essere, Sumida decide di usare la violenza per cambiare il mondo che lo circonda, finendo così per essere risucchiato in un vortice di follia. A cercare di dissuaderlo dal suo intento ci pensa Chazawa, una compagna di classe, follemente innamorata di lui, intenzionata a fare di tutto per riportarlo sulla retta via.

Elogio dell'aspirazione all'autodeterminazione, metafora dello smarrimento e dello sgomento di un intero Paese, sfrontata commistione di commedia, dramma famigliare, grottesco, love story e parecchie altre cose, parabola sulla riappropriazione di una generazione del sogno di immaginare una società diversa da quella (fallimentare?) ereditata dai padri, il film non mira al rigore narrativo, ma si abbandona ad un libero (e sorprendente) delirio poetico-concettuale che lascia dapprima increduli, poi convinti, da cui traspare tutta la forza immaginifica ed il gusto per la provocazione del cineasta giapponese. Il quale, anche questa volta, non si lascia sfuggire l'occasione per scaraventare un robusto colpo agli (pseudo)valori che dominano la società giapponese, denunciandone l'odio per la differenza, il conformismo, il materialismo, il totale asservimento ad una rigida disciplina, ma senza rinunciare ad un messaggio di speranza per il futuro.
In un mondo afflitto da un orrore quotidiano che assume una dimensione sia privata che pubblica, Sono, dopo aver pantografato le voragini di una società in decomposizione per buona metà del film, fa emergere, seppur in una forma cruda e sopra le righe, un poetico omaggio alla caparbietà tutta giapponese nel saper rinascere dalle proprie ceneri, in uno sviluppo emblematico in cui un giovane afflitto da mille angustie trova la forza di andare avanti grazie all'incontro con una ragazzina testarda che ridefinisce in positivo l'orizzonte del suo avvenire. Come in una favola, ma che ha i propri confini disegnati sulle amarezze del presente, tant'è che nessuno dei personaggi sembra avere una via di fuga se non in un rapporto sentimentale. Quasi a dire: è la passione che ci salva. Nel finale, una delle più belle scene d'amore del cinema. Spiazzante ed epocale.
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