Safari - Recensione (Venezia 73 - Fuori concorso)
- Scritto da Fabio Canessa
- Pubblicato in Film fuori sala
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L'effetto è sempre quello simile allo stridio delle unghie su una lavagna. Fastidioso. Nel senso positivo perché il graffio è il marchio di fabbrica di Ulrich Seidl. Quello che si aspetta chi lo segue da tempo. Autore unico, riconoscibile. Bastano quelle inquadrature geometriche, quei quadri fissi così incisivi tanto presenti nei suoi film. Meno forse in questo documentario Safari e alternati a lunghe sequenze in movimento con camera a mano con le quali il regista segue turisti tedeschi e austriaci in vacanza per cacciare nelle distese selvagge dell'Africa. Dove pascolano magnifici animali come antilopi, impala, zebre, gnu, giraffe. Guidati nella savana, si appostano, braccano le loro prede, sparano, singhiozzano per l’eccitazione e si mettono in posa davanti agli animali che hanno abbattuto. Uomini e donne, ragazzi e persone di una certa età. Tutti accomunati da questa macabra passione mostrata in tutta la sua violenza, senza filtri, e fatta raccontare dagli stessi protagonisti, immerse in quelle curatissime e simmetriche inquadrature tanto care al regista, con interviste (le domande non si sentono, ma si possono intuire) dalle quali emerge la meschinità, la piccolezza di questi uomini occidentali. Persone apparentemente normali, che potrebbero essere i nostri vicini di casa, che scelgono Paesi sottosviluppati come un loro parco giochi, alla ricerca dell'appagamento del desiderio di potenza trovato nell'uccisione di animali di grossa taglia, al sicuro da ogni pericolo e con fucili di alta precisione. Echi di un colonialismo e di un razzismo che sotto la superficie rimangono presenti ancora oggi. Emblematico, più delle stupide parole di alcuni intervistati sulla popolazione locale, il contrasto messo in evidenza da Seidl tra l'attività di caccia dei turisti occidentali, in fondo derisi dal regista quando mostra certi atteggiamenti assurdi che fanno anche ridere (seppur a denti stretti), e il lavoro sporco lasciato ai neri. Lo sguardo di Seidl sembra restituire in questo caso un senso di dignità, anche se si tratta di immagini difficili da guardare che mostrano tutte le fasi di scuoiamento e sventramento degli animali cacciati.
Scene forti, disturbanti che completano l'immersione nel microcosmo dei turisti-cacciatori europei in Africa. Un mondo raccontato come soltanto Seidl sa fare, con brutale realismo, una lucidità, una spietatezza abbinata a un tono grottesco che diventa come una pillola per digerire meglio la visione. Sempre e comunque agghiacciante.
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Fabio Canessa
Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film. Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.