Frenzy - Recensione (Venezia 72 - In concorso)
- Scritto da Davide Parpinel
- Pubblicato in Film fuori sala
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In un giorno qualunque, in un tempo imprecisato a Istanbul, dopo quattro anni di carcere è posto anticipatamente in libertà Kadir. Ciò che gli propone il funzionario di polizia in cambio di uno sconto della pena è alimentare la macchina dello spionaggio, più precisamente lavorando nella raccolta dei rifiuti, per trovare possibili componenti di fabbricazione di bombe per atti terroristici. Tornato, quindi, al suo villaggio, l'uomo incontra il fratello Ahmet, impiegato per il comune nell'abbattimento dei cani randagi. Kadir cerca di riavvicinarsi a lui, ma questo dopo alcune delusioni di vita vuole trovare nuovi affetti oltre la famiglia. Il suo atteggiamento evasivo è, quindi, preda dei sospetti di Kadir la cui azione di spionaggio sta per ritorcersi proprio contro il fratello.
C'è una gran confusione di vita a Istanbul. Oltre all'apparente illogicità che porta all'abbattimento di cani randagi e alla maniacale cura con cui i rifiuti sono scandagliati alla ricerca di possibili ordigni, si unisce il disorientamento degli uomini. Anmet, suo cugino e la moglie Meral, sono pervasi da un disordine mentale. Sono isolati nelle loro case, rinchiusi nei loro pensieri, incastrati nella rispettive azioni lavorative. L'unico che cerca di evadere da questa situazione è Kadir, il quale desidera opportunisticamente, perché mosso dall'attività di spionaggio, instaurare nuove relazioni con i suoi parenti. Questo apparato di relazioni innesca il pericoloso meccanismo voluto dal sistema politico, ossia creare il sospetto, insinuare nella mente di ogni uomo la possibilità che il proprio vicino sia un potenziale terrorista, pronto a minare la salvaguardia dello Stato. L'asse potente-uomo, infatti, è alla base della definizione di Frenzy, per cui gli uomini appaiono piccoli e innocui strumenti nelle mani di chi comanda, come si può notare nel timore che Kadir nutre nei confronti degli ufficiali di polizia e il modo in cui pedissequamente compie la sua azione. In questo clima di profonda paranoia sociale, di clima politico soffocante, Ahmet cerca una via di fuga nello sperimentare nuove emozioni vere e naturali, rivolte a un cane randagio risparmiato dalla sua azione di sterminio, a cui però sa benissimo che non può affezionarsi e che sarà causa dei sospetti di Kadir sulla sua persona.
Per soddisfare queste premesse, Frenzy è pervaso da un'atmosfera cupa e sinistra. Emin Alper sa costruire questo paesaggio in cui il giorno è tetro e azioni vandaliche, recriminazioni, atti di violenza e gesti sinistri popolano la notte. Il film, quindi, scorre nelle immagini, ma si intoppa nel processo narrativo. Il regista turco a tratti si specchia nelle scene, proponendone la fattura estetica e lasciando che chi osserva compia un'azione di connessione tra esse che dovrebbe condurre al significato generale della pellicola. Un tale processo è reso spesso, però, non immediato a causa della mancanza di legami narrativi e di linearità nell'esposizione. La pellicola, infatti, si presenta frammentaria soprattutto nel descrivere le azioni e i pensieri dei vari protagonisti, così da giungere alla parte finale, in cui sono forniti elementi utili alla comprensione globale, in maniera quasi inaspettata.
Lasciare al pubblico la possibilità di immaginare e riflettere è corretto, ma è utile anche che il regista esprima un'idea, un obiettivo, una finalità a cui agganciarsi e che non emerga con difficoltà, considerando lo stimolante impianto ideativo su sui è concepito Frenzy.

Davide Parpinel
Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.
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