Diario dal festival: primo giorno
- Scritto da Jlenia Currò
- Pubblicato in Extra
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Il tappeto rosso è incorniciato dai ‘monumenti di Cinecittà’. Ad accogliere le star che sfileranno dopo poche ore c’è la ‘divinità egizia’ di de Cuir dal film Cleopatra (1963). L’ultima opera è il ‘Buddha ridente’ di Gangs of New York.
Il direttore artistico Marco Müller ha preferito le statue. Niente fiori per la settima edizione del Festival del Film di Roma. Il risultato è una plasticità surreale che forse ha condizionato il red carpet d’apertura.
Se durante il giorno la scena è occupata dai gargoyles dei set cinematografici, a riempire il buio dopo il tramonto ci sono le luci dei vip. Luci a intermittenza. Sì, perché la sfilata iniziale non ha avuto niente di scoppiettante, a parte una pernacchia di Stefania Rocca come risposta alle interviste delle reti nazionali.
Il via vai patinato è iniziato con il cinema asiatico. Poi il cast di Waiting fo The Sea (di Bakhtyar Khudojnazarov) e di nuovo Asia con Takashi Miike e Erina Mizuno per il film in concorso Lesson of the Evil.
Con l’arrivo di Claudia Pandolfi la passerella si illumina, soprattutto i volti delle signore trasformate in paparazzi. Quando una di loro le chiede una penna per l’autografo, lei risponde incredula “pure la penna dovevo portare?”. E con passo deciso raggiunge i fotografi che chiedono in prestito solo uno sguardo.
Poco propenso al bagno di folla (più doccia che bagno, vista la mediocre affluenza del pubblico) è Paolo Villaggio che, forse in memoria della sua partecipazione alla fiction, ha porto i suoi saluti (militari) ai carabinieri in divisa extra lusso. Il tutto dando le spalle ad un pubblico che Massimo Ghini ha, invece, ringraziato cordialmente (pensava che i fan asiatici fossero lì per lui?).
Così come la scenografia del Festival, anche nel red carpet c’è stato un alternarsi di Oriente e Occidente. Il primo molto più elegantemente sobrio del secondo. A metà Claudia Pandolfi che da brava madrina ha conquistato la scena senza troppe moine.