E la chiamano estate (Festival di Roma 2012 - Concorso)
- Scritto da Massimo Volpe
- Pubblicato in Film in sala
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Cosa pensare di un film che vorrebbe essere drammatico ma che agli spettatori carpisce risate sguaiate? E soprattutto cosa dovrebbe instillare nella mente del regista una simile situazione?
Tutto ciò è alla fine quello che si evince da uno dei lavori più incomprensibili, brutti e privi di qualsiasi interesse che non sia lo scorrere sempre troppo lento delle lancette dell'orologio.
E la chiamano estate di Paolo Franchi, presentato in Concorso (!) al Festival del Film di Roma 2012 è tutto ciò: film pretenzioso, volutamente e ricercatamente provocatorio, grazie ad una scabrosità di immagini totalmente gratuita che non sfigurerebbe in qualche XXX movie di infima qualità; ma anche tutto ciò sarebbe poco se solo ci fosse un minimo di coerenza con una storia nella quale viene infilato di tutto: la difficoltà al rapporto coniugale contrapposta alla sfrenatezza extra moenia, psicanalisi, depressione e suicidio, scambismo, corna su richiesta, dialoghi imbarazzanti, il tutto senza neppure il barlume di uno straccio di coerenza narrativa, se si esclude la canzone Anni '60 di Bruno Martino che dà il titolo al film (...che originalità).
La voluta, ricercata e ostentata astinenza cui si vota il protagonista si sovrappone a frasi ripetute fino alla noia nelle quali egli stesso cerca di dare un senso alla sua esistenza sotto forma di lettera alla compagna, la quale da parte sua è quasi ben fiera del trattamento ricevuto dall'uomo, come si trattasse della sublimazione di un rapporto di coppia perfetto.
Un film, insomma, che alla fine prosciuga anche la residua forza per annoiarsi, troppo concentrati sul count down che conduce agli agognati titoli di coda e che dimostra ancora una volta come il cinema italiano insegua chimere nella speranza di uscire dal tunnel, con la scellerata complicità dei produttori (la vedova Pavarotti in questo caso…), prestando il fianco a simili ignominie.