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After Earth - Dopo la fine del mondo - Recensione

Will e Jaden Smith cercano di costruire un rapporto che li ha visti da sempre in conflitto, sullo sfondo di un mondo destinato alla totale distruzione, in un film sci-fi diretto da M. Night Shyamalan

M. Night Shyamalan è un regista che dopo l’exploit di un film come Il sesto senso ha dimostrato una notevole capacità di analisi e un diverso modo di intendere il cinema. Con un’idea narrativa precisa ed originale, ha saputo variare costantemente il suo raggio d’azione, confezionando piccoli capolavori come il già citato Il sesto senso, Signs, The Village, nonché forse il suo film migliore Unbreakable. Ma negli ultimi anni la sua ascesa ha incontrato una battuta d’arresto notevole con film ad altissimo budget e non privi di complessità strutturali come E venne il giorno e L’ultimo dominatore dell’aria che, purtroppo, hanno registrato un clamoroso flop. Ma Shyamalan sembra essere un regista estremamente convinto delle sue idee, onore al merito, e i vari disastri al botteghino non gli hanno impedito di perseverare.
C’erano enormi aspettative per il suo ultimo lavoro After Earth - Dopo la fine del mondo, un film di fantascienza che ha usato come cavallo di Troia per arrivare al pubblico la coppia padre e figlio, sia sullo schermo che nella vita, di Will e Jaden Smith. Un ottimo biglietto da visita, soprattutto grazie alla presenza del campione di incassi Will, ma questo non può e non deve bastare a rendere appetibile un film.
La Terra sta finendo le sue risorse vitali e gli umani sono costretti a cercare rifugio su altri pianeti (Oblivion?). A difendere i pochi uomini rimasti da delle creature mostruose istruite ad hoc per ucciderli, ci sono dei ranger in grado di sconfiggerli. Uno di questi è Cupher Raige, che possiede una dote particolare con la quale è in grado di nascondersi al fiuto di questi mostri, detti Orse, privi della vista ma guidati dai ferormoni che ogni essere umano genera quando è in preda alla paura. Prima di poter andare in pensione Cupher Raige deve compiere un’ultima missione e decide di portare con sé suo figlio, nel tentativo di stabilire un contatto con lui, fino ad allora negato a causa della severità del padre. Ma le cose non vanno come dovrebbero e i due si trovano ad dover affrontare molti e sconosciuti pericoli.
Il film, non privo di una retorica disarmante, parte da presupposti che vorrebbero focalizzare l’attenzione dello spettatore non tanto sull’aspetto avventuroso, quanto sui rapporti umani che sottendono alla trama vera e propria. Il tentativo di rendere un film di fantascienza un terreno sul quale riflettere circa le difficoltà di 'stabilire un contatto' fra le persone, non è inusuale nel cinema. Shyamalan però non è qui in grado di portare a termine questa idea narrativa, delegando all’intenzionalità degli interpreti, privati di dialoghi (se non fosse per alcuni lunghi monologhi, che in gergo tecnico chiameremo 'spiegoni'), tutto il background drammaturgico.

Se poi nei credit si legge che il soggetto è stato scritto da Will Smith (il quale rimane un ottimo attore), si concretizza la tesi che il regista, non avendo potuto mettere mano al film dagli antipodi del progetto, si sia definitivamente imbrigliato in una posizione di sudditanza rispetto agli albori del suo cinema nel quale si percepiva una totale libertà autoriale.

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