Mai morire (Festival di Roma 2012 - Concorso)
- Scritto da Massimo Volpe
- Pubblicato in Film fuori sala
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Un angolo remoto del Messico in cui il tempo sembra avere perso il suo ritmo, dove la nebbia si fonde con l'acqua dei fiumi: in questo scenario Enrique Rivero, regista messicano giunto all'opera seconda, mette in piedi la sua riflessione pacata e profonda sul rapporto dell'uomo con la morte.
E' il racconto di Chayo, una donna che torna nel suo villaggio natale, immerso in una natura ostile, dove il progresso sembra non essere ancora approdato, per accudire la madre quasi centenaria gravemente ammalata; qui tra un presente fatto di rinunce e di solitudine la donna toccherà con mano il senso di una vita che si spegne e che diventa occasione per guardare alla propria esistenza.
Alimentando un'atmosfera sospesa nel tempo che rasenta quasi la fiaba, tra sogni e spiritualità, Rivero offre una lettura personale della fede religiosa che si sposa alla tradizione e alle credenze popolari, costruendo un film in cui l'introspezione e la forza dello spirito sostengono un ritmo lento, pacato ma che mai fa scemare l'interesse.
Anche a livello di immagini Mai morire regala dei momenti di grande capacità tecnica e di impatto che creano un costante flusso emotivo che va ad affiancarsi al racconto della protagonista, costellandolo qua e là di simbolismi e di segnali (non sempre chiarissimi a dire il vero) che danno vita ad una storia che possiede il raro pregio, almeno in questa settima edizione del Festival del Film Roma, di catturare i sensi e il cuore.
Rivero, che già con la sua opera prima aveva raccolto numerosi riconoscimenti, al Festival di Locarno in primis, si impone come uno dei registi che può lasciare il segno in questo Festival di Roma in cui spesso l'autorialità prende derive non sempre comprensibili.