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Fran Lebowitz e New York (e Scorsese)

La prima volta che Martin Scorsese ha deciso di realizzare un documentario su Fran Lebowitz è stato nel 2010. All'epoca c'era HBO, oggi nel 2021, c'è Netflix che concede questa possibilità al regista. Si tratta di una fiducia ben riposta perché il caro Martin ha un'intuizione della sue, degna di un profondo conoscitore delle immagine meccaniche: lasciar parlare una delle voci più irriverenti, e sincere, dell'America e dell'oggi

Senza ombra di dubbio ciò che rimane maggiormente impresso negli occhi degli spettatori al termine della settima puntata della miniserie Fran Lebowitz: una vita a New York sono gli enormi occhiali che solcano il viso di Fran Lebowitz, la sua parlantina velocissima, i gemelli che chiudono i polsini della sua camicia impeccabilmente bianca, e soprattutto le matte e naturali risate di Martin Scorsese. La grassa e larga risata del regista newyorkese è davvero sincera e contagiosa e amplifica il suo effetto quando è accompagnata dal battere insistito con la mano sul tavolo o sul bracciolo della sedia, e dal respiro strozzato in gola. Ma cosa c'è tanto da ridere? Il merito di questa sua felicità sta tutto nell'ironia tagliente e nella battuta pronta di Fran Lebowitz. La miniserie, diretta dal regista, non si focalizza sul profilo della Lebowitz, su cosa abbia fatto nella sua vita, sul suo mestiere, sul suo passato o sul presente, o perlomeno non direttamente, bensì su cosa pensa e sull'opinione, diretta e schietta, che la scrittrice ha di alcuni argomenti, che costituiscono i vari temi di ogni puntata. Questo è ciò che interessa a Scorsese e questo è ciò che lo fa ridere a crepapelle.

Sullo schermo. La serie tv Fran Lebowitz: una vita a New York riporta come titolo originale Pretend It's a City. È una miniserie di sette puntate della durata media di 25 minuti ciascuna, di produzione e distribuzione di Netflix. A parte la LebowitzScorsese in video appaiono anche il produttore Ted Griffin in qualità di cointervistatore della scrittrice, il quale siede a fianco dei due all'interno de The Players, club privato fondato a New York dall'attore shakespeariano del diciannovesimo secolo Edwin Booth; dietro la telecamera, invece, c'è Ellen Kuras. Altri personaggi non sono presenti, se non fosse per Spike Lee e Alec Baldwin che appaiono nelle registrazioni di vecchie interviste da loro condotte alla Lebowitz. L'intervista di Scorsese si intreccia a queste apparizioni tv e ad altri suoi momenti di dibattito con la scrittrice. La cornice intellettuale e concettuale della miniserie è, quindi, New York e prendendo spunto dalla città, la Lebowitz discute di affari culturali, trasporti pubblici, commissione stanziamenti, sport e salute, anagrafe e servizi culturali. Quindi il perno della miniserie è Fran Lebowitz? Nel suo fitto e velocissimo parlare lo spettatore evince qualcosa di lei, del suo passato, delle sue lotte (soprattutto si scopre che sin da giovane la scrittrice ha indossato la camicia bianca con gemelli molto vistosi, jeans Levi's con il risvolto, stivali da cowboy, giacca e cappotto. Gli occhialoni tartarugati sono subentrati in età adulta), anche se appunto l'obiettivo di Scorsese è lasciare soprattutto spazio alla sua voce, alla sua ironia caustica, alle sue battute ossidriche, ai suoi giudizi taglienti e pieni di acidità, focalizzando, così, l'attenzione più sul suo pensiero.

Nelle parole della Lebowitz. Il titolo originale è, come detto, Pretend It's a City, ossia "Fai finta che sia una città". Questo titolo potrebbe lasciare intravedere un pizzico di ironia, di insoddisfazione della donna nei confronti della città, appunto New York ed effettivamente è così. La camera, infatti, punta diretta sul volto rugoso della scrittrice e umorista originaria del New Jersey, per lasciare che il fiume di parole inondi chi guarda e lo travolga della sua antipatia e odio nei confronti della città (e dell'America) di oggi. La Lebowitz critica le sigarette, i soldi, l'umanità incurvita sugli schermi degli smartphone che molto spesso, anche sulle strisce, tentano di investirla con l'auto. Scorsese la inquadra mentre incede truce e severa appesantita dal suo enorme cappotto per le strade di Manhattan e si ferma a osservare le lastre commemorative sui marciapiedi o qualche minuscolo momento di ricordo della storia di New York. Accanto a lei, appunto, sfila un'umanità che sembra non vederla, non considerarla, mentre lei li guarda uno ad uno, immersa nei grattaceli e nelle insegne dei negozi che si stagliano sullo sfondo. La conclusione di queste passeggiate incattivite, in ogni puntata, è The Player e una volta seduta al tavolo con Scorsese e Griffin la scrittrice inizia i suoi acidi monologhi scanditi dal piccolo e velato sorriso che le segna la faccia. Non è necessario che il regista le dia il la, la donna parte e taglia a fette la città, i newyorkesi e l'uomo di oggi.

È New York l'origine di tutto. In realtà lo scopo finale delle critiche della Lebowitz non è solo New York, è tutta l'America sia di quarant'anni fa che di oggi e più in generale l'uomo di qualsiasi epoca. Per portare all'evidenza ciò, Scorsese tesse una tela intessuta di due soli fili: Fran Lebowitz e New York. Costruendo ogni puntata con la stessa trama, il tragitto a piedi della donna che la conduce al locale dell'intervista, inframmezzando questa visione con la stessa Lebowitz che si aggira lungo la pianta in rilievo della città, il regista unisce i due vertici dei fili, comunicando a chi guarda che è la stessa città che imbecca l'acida critica della scrittrice. È New York così infinita, come appare nella pianta, così frenetica e veloce, così piena di ricordi e momenti di storia che nessuno considera, e nemmeno vede, che suggerisce a Fran la materia della sua polemica. New York è il suo mondo, è il sangue che alimenta le sue vene, è la sua casa, tant'è che Scorsese non inquadra mai la vera abitazione della donna, perché è l'intera città il terreno su cui questa giunge al termina della di ogni giornata.

Non è davvero una polemica (?). A ben guardare, però, la polemica di cui è intrisa la parlantina di Fran Lebowitz, forse tanto polemica non è. Al termine della settima puntata, quando lo spettatore, soprattutto quello che non conosce il profilo della donna, è entrato nel mondo denominato "Fran Lebowitz", ha compreso il modus operandi del suo pensiero, intuisce che forse, in fondo in fondo, un po' di ragione risiede nelle parole della donna. Il suo essere totalmente contro tutto e tutti, magari, è in realtà intriso di verità e anche di un pizzico di saggezza. Chi guarda si affezziona, quasi, alla scrittrice, e alle sue sciabolate dialettiche e ciò è merito, in primis, del pensiero chiaro e limpido della scrittrice, che mai nella sua vita si è tirata indietro di fronte alla possibilità di dire ciò che voleva, e poi del vecchio Scorsese. Anche se più divertito, anche se apparentemente meno impegnato dietro la macchina da presa, il caro saggio newyorkese radiografa la sua città, dà voce a uno dei maggiori pensatori della contemporaneità e insegna ancora una volta a tutti come si racconta per immagini, anche se si tratta di una miniserie e non di un film.







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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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