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Chernobyl, conclusioni: un piccolo passo avanti per la serialità

Lo scorso 8 luglio in Italia è stato trasmesso l'ultimo episodio della miniserie più attesa dell'anno, Chernobyl. Quanto proposto nella prima puntata ha trovato la sua conclusione, mostrando una delle vicende più buie della storia dell'umanità e soprattutto spiegando le nuove direttrici di sviluppo del racconto seriale

Per Chernobyl, la miniserie distribuita da SKY e HBO, prendere in esame narrativamente l'esplosione del reattore n.4 avvenuta nel 1986, significa spiegare i fatti, illustrare le scelte degli uomini e cercare di fornire a chi guarda una motivazione valida a giustificare l'enorme sacrificio umano. All'inizio di questa analisi c'è stata la puntata pilota che ha parlato di insabbiamento della verità, scarico delle colpe, ustioni evidenti e improvvise, paure e tensioni, il tutto in un impianto visivo che trasmetteva non poca ansia.

La giustizia vince, ma a che prezzo? Il quesito proposto dalla puntata pilota, quindi, si concentrava sugli interrogativi che quell'uomo seduto nella sua casa si stava ponendo poco prima di suicidarsi: esiste un mondo giusto, una giustizia? Quell'uomo è Valery Legasov, il protagonista della miniserie. Lui è uno scienziato, un fisico nucleare, il vicedirettore dell'Istituto dell'Energia Atomica Kurchatov, incaricato di spegnere l'incendio del reattore e trovare una soluzione alla dispersione delle radiazioni. Compito non proprio facile, aggravato per giunta dall'impossibilità di rivelare la verità dei fatti che a poco a poco emerge. Ecco quindi che Legasov ordina ai minatori di scavare un tunnel sotto al reattore, chiede ai soldati di spostare dal tetto della centrale i pezzi di detriti radioattivi e abbattere tutti gli animali viventi nella zona intorno a Chernobyl; allo stesso tempo l'uomo si rivolge agli operai della centrale per chiudere le manopole dell'acqua ed evitare così che si infetti la falda acquifera, posta sotto il reattore esploso. A tutti loro il fisico parla di sacrificio, ma non spiega il perché della loro azione, per quale motivo stanno compiendo quei gesti e soprattutto le conseguenze mortali. Si delinea un profilo di Legasov incentrato sul dubbio e Jared Harris, che lo interpreta, è un'ottima maschera di incertezze e timori. È giusto chiedere senza dare spiegazioni, sembra domandarsi lo scienziato? Alla quarta puntata arriva la risposta. Davanti al mondo Legasov deve spiegare quanto successo e qui l'uomo fornisce una verità a metà che non incolpa direttamente l'URSS. Al processo, poi, contro tre uomini presi per fornire all'opinione pubblica un capro espiatorio, il fisico non può più trattenersi e dimostra che dietro l'esposizione c'è un cattivo comportamento di quegli uomini, ma anche errori di valutazioni a priori, materiali scadenti, verifiche mai effettuate, un silenzio in nome del prestigio, personale e nazionale, che ha causato migliaia di vittime. Insomma la giustizia vince? Una cosa è certa: la giustizia deve fare i conti con la macchina della menzogna sovietica che fagocita tutto, anche l'eroe Legasov.

Il sacrifico è servito. Insabbiare, celare, nascondere, non permettere che nulla e nessuno intacchi la credibilità dell'URSS, anche se la realtà sembra dire altro. Questa è la linea narrativa di Chernobyl, che rimane la principale nel suo prosieguo e si evolve in accordo con il personaggio di Boris Shcherbina, interpretato da Stellan Skarsgard. Lui è il vicepresidente del consiglio dei ministri e parte 'politica' all'azione di Legasov. All'inizio non crede allo scienziato in merito alla gravità dell'esplosione nucleare: si attesta sulla linea ufficiale dello Stato che minimizza. Poi alla vista dell'apocalisse nucleare si ravvede e aiuta Legasov in ogni sua azione, soprattutto dopo aver compreso le conseguenze terribili delle radiazioni sul mondo intero. Shcherbina arriva a essere, così, uno dei sostenitori della giustizia, della verità, andando apertamente contro il suo partito, e quindi la sua 'vita', seppur conscio delle conseguenze che questa battaglia può provocare a lui e Legasov. Poi c'è Ulana Khomyuk, scienziata, personaggio di finzione, al contrario degli altri due realmente esistiti, interpretata da Emily Watson. Lei è un valido aiuto scientifico per Legasov, e soprattutto il vero grimaldello della giustizia. Interroga i superstiti, studia la centrale e ne scova i difetti, scava nella storia e una volta avuto il quadro generale convince il suo collega fisico a mostrare al mondo lo stato delle cose, mettendo sul banco degli imputati anche l'URSS. È un'anima pura, troppo onesta, forse. Nel tracciare il solco della linea narrativa Craig Mazin, creatore di Chernobyl, pone, così, in forte evidenza tutti coloro che attivamente hanno sacrificato la propria vita per risanare il disastro: politici, scienziati e soprattutto i pompieri, i minatori, i soldati, gli operai, i tecnici e anche i civili che hanno dovuto abbandonare improvvisamente la loro vita. Tutti loro sono la prova migliore in grado di far crollare quel muro di menzogne e retorica promosso da quel gerarca sovietico nella puntata pilota. La serafica accettazione di una morte certa racchiusa negli sguardi, nelle mani tremolanti, nella paura che emerge dalle azioni e dalla voce dei soccorritori e di quelli che la storia chiamerà i 'liquidatori' è il propulsore della ricerca di giustizia.

Chernobyl e la Storia. Luce virata al grigio, al verde acido, atmosfera densa di ansia e terrore sorretta da una camera che si pone sempre in relazione stretta con i personaggi e i loro sguardi insicuri, dubbiosi e tristi, per concedere solo a volte qualche inquadratura più ampia sul contesto metafisico e immobile attorno alla centrale. Queste le linee guida della regia di Johan Renck che dalla puntata pilota fino al termine si sono mantenute tali. L'occhio dello spettatore, quindi, è portato a soffermarsi sui volti di tutti i personaggi, perché solo concentrandosi sulle espressioni facciali è possibile capire quanto accaduto. A supporto di ciò c'è uno stile narrativo che nelle prime quattro puntate è quasi documentaristico, ossia molto vicino alla realtà dei fatti, asciutto, essenziale, vero per poi nell'ultima puntata, durante il processo e nei dialoghi tra Legasov, KhomyukShcherbina, lasciare spazio a una finzione utile a chiudere la storia. Le immagini storiche dei personaggi e dell'area deserta e muta ancora oggi. attorno a Chernobyl, o delle tute dei pompieri, che a distanza di più di trent'anni sono ancora intrise di radioattività, mostrate a conclusione della miniserie, riportano lo spettatore alla cruda realtà.

In conclusione, Chernobyl propone una studiata ricerca visiva, tesa alla dimostrazione dello scopo narrativo: raccontare un episodio tragico della Storia. Per fare ciò la miniserie è ansia, è cruda realtà, è un atto di sensibilizzazione, è la serialità al servizio della Storia, per educare e informare. Non è una rivoluzione visiva, come ci si aspettava, perché i modi di rappresentazione sono gli stessi del cinema; è sicuramente, però, la dimostrazione che il racconto seriale nel suo prendere a soggetto la realtà sta assumendo sempre più le forme e i modi più adeguati e calibrati, con un bilanciato equilibrio tra documentazione e finzione, per raccontarla.





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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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