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Diario da Venezia 78: giorno 9

Il nostro diario (quasi) giornaliero dalla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica che racconta la nostra vita quotidiana a sfioro del Lido, intrisa di film, opinioni, aneddoti, incontri, spunti e tantissime riflessioni, soprattutto di cinema

Siamo tornati!
Ieri, mercoledì 8 settembre, ottavo giorno della Mostra del Cinema 2021, ci siamo presi una pausa. Lo avevamo anticipato già nei giorni scorsi che ci saremmo concessi un momento di stasi, di tranquillità per mettere a fuoco dalla giusta distanza il cinema di Venezia 78. Non siamo andati in sala, abbiamo seguito alcune conferenze stampa, e soprattutto abbiamo letto, ci siamo documentati, ci siamo confrontati con i colleghi e gli amici sull’andamento di questa, apparentemente, sfavillante Mostra. Abbiamo riscontrato un grande entusiasmo in generale sull’evento che si è amplificato grazie all’opera seconda di Gabriele Mainetti, Freaks Out. Le dichiarazioni di regista e produttori, infatti, in conferenza stampa, sono state impegnative e si sono spesi grandi aggettivi, dipingendo il film come una grande opera in costume, tra farsa e tragedia, nata dall’amore per le storie del cinema del regista e del cosceneggiatore Nicola Guaglianone. La sala confermerà (o smentirà) queste dichiarazioni. 

Ieri, inoltre, è stato anche il giorno del secondo Leone d’Oro alla carriera assegnato a Jamie Lee Curtis, presentata da David Gordon Green, con un piccolo cappello introduttivo del direttore Barbera. Quest’ultimo ha ricordato come la carriera dell’attrice americana è un cerchio che gira cinematograficamente attorno a Halloween; nel 1978, infatti, John Carpenter scommise su di lei, all’epoca una giovane attrice, per il film Halloween - La notte delle streghe e oggi lei stessa si presenta a Venezia come interprete di Halloween Kills, diretto appunto da Gordon Green e presentato Fuori concorso, il sesto film della serie da lei recitato. Per il concorso Venezia 78 ieri è stato proposto anche Kapitan Volkonogov bezhal (Captain Volkonogov Escaped) di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov, nomi noti per Venezia in quanto qui hanno portato nel 2018 The Man Who Surprised Everyone nel concorso di Orizzonti. La loro nuova opera è una favola nera in cui un uomo è alla perenne ricerca della propria redenzione spirituale. Oggi, proseguendo, sono stati presentati due film in concorso: Leave No Traces di Jan P. Matuszynski e America Latina di Damiano e Fabio D’Innocenzo. Domani i conti di Venezia 78 si chiudono con Another World di Stéphane Brizé e On the Job: The Missing 8 di Erik Matti, unico film asiatico in concorso. Nel Diario di domani, numero 10, infine, vi proporremo le valutazioni di quasi tutti i film, sono esclusi appunto il francese e il filippino, della stampa internazionale e nazionale sul concorso, secondo le stelle assegnate sul Ciak Daily. 

In diretta dal Lido. Raccogliamo qui gli ultimi discorsi in sospeso sulla vita al Lido.

  • L’offerta enogastronomica della Mostra. A parte i caffè accompagnati da qualche brioche alla mattina, per il resto non ci siamo avvicinati né al tanto amato self service, né alla 'pizzeria' che molte sere e molte cene ci ha salvato nelle precedenti edizioni. Né tanto meno ci siamo serviti per pranzi e cene dell’offerta del Lion’s Bar, né dei ristoranti o pizzerie della zona, e, meno che meno, del ristorante dell’Hotel Excelsior perché… non credo sia necessario spiegarvelo. Ci siamo gestiti autonomamente, provando, per la prima volta nella nostra vita, l’ebrezza di non spendere una fortuna per cibarci malamente in questi lunghi giorni, ma confezionando i nostri cibi da casa. Ci rimarrà, quindi, il dubbio se il self service sia migliorato o almeno che sia giunto al grado minimo di cucina accettabile in cui non sono impiegati litri e litri di olio per cucinare qualunque cosa. Rimarremo, anche, con l’interrogativo se la pizza finalmente riesca a uscire dal forno cotta e che le dimensioni siano finalmente diventate normali e non microscopiche. Sappiamo almeno che tenendoci lontano da tutto questo, abbiamo risparmiato grosse finanze, perché i prezzi sono rimasti inspiegabilmente alti.  
  • Non siamo riusciti a darvi conto del programma delle Giornate degli Autori. È quasi impossibile starci dietro, perché ormai questa sezione collaterale e indipendente alla Mostra ha travalicato il concetto di mera offerta cinematografica. Concerti, discussioni, feste, happening, le Giornate sono un turbinio di eventi. Con la rete di collaborazioni che intessono, ogni giorno, ogni momento della giornata e della notte c’è qualcosa in cui immergersi per farsi contaminare dalla loro energia. Nella Sala Perla si svolgono le proiezioni, il concorso è sottoposto al voto della giuria di giovani studiosi di cinema che quest’anno era presieduta dalle registe bulgare Mina Mileva e Vesela Kazakova, mentre alla Sala Laguna, la nuova sala ristrutturata dalle Giornate, avviene tutto il resto, sconfinando quest’anno fino al Teatro Goldoni di Venezia. Possiamo, infine, solo che ringraziare le Giornate per la scelta encomiabile e apprezzabile di donare la sala posta vicino alla Chiesa di Sant’Antonio al Lido e dedicata alla memoria di Valentina Pedicini, alla municipalità, alla città di Venezia, perché sia un cinema sempre aperto. Così si diffonde la magia del cinema e la voglia di andarci: costruendo e aprendo le sale. 
  • Altra mancanza: non siamo riusciti a raccontarvi la proposta cinematografica della Settimana della Critica. Questo concorso, anch’esso autonomo e indipendente, che propone solo opere prime in anteprima mondiale, è una sfida per chi voglia scoprire nuovo cinema. I suoi film selezionati, tra l’altro, nel corso della stagione raccolgono importanti premi negli altri festival e un grande successo di pubblico.

Quando vi abbiamo parlato delle sale della Mostra e della loro vita, ci siamo dimenticati di dirvi il nostro parere in merito alla bella sigla ideata da Lorenzo Mattotti, artista che non ha certo bisogno di presentazioni, che introduce alle proiezioni. Nella sigla ogni anno, l’artista ritrae una nuova dea del cinema che raccoglie nei suoi occhi le storie, le immagini, i colori, le emozioni, i movimenti del cinema in un carosello di immagini, accompagnate da una musica ritmata e travolgente, che ammalia e strega lo spettatore. Noi non smetteremo mai di guardarla.

Nel capitolo sale, aggiungiamo che oggi siamo stati nella bellissima Sala Pasinetti. Questa, come la sua gemella Sala Zorzi, è al piano inferiore del Palazzo del Cinema, ed è uno scrigno. È piccola, non tanto lunga, larga circa per una fila di dieci posti ed è stata ristrutturata acusticamente e visivamente molto bene. È confortevole e rappresenta il sogno di sala che ogni appassionato di cinema vorrebbe, anche in formato più ridotto, nella sua casa.

Per il capitolo Palazzo del Casinò chiediamo con grandissima insistenza a La Biennale di risistemare anche i bagni. Sono indecorosi nonostante il personale di pulizia faccia un lavoro straordinario per tenerli sistemati. Certo, molto della fatiscenza di queste toilettes è dovuta anche all’incuria di chi ne usufruisce, però di per sé cadono a pezzi. Sapete quanto è importante avere un bagno in ordine in un festival? Tantissimo, considerando i ritmi di vita. Ah poi… l’ascensore è stato aggiustato!

Capitolo conferenze stampa. Vedi la sezione Finalmente in sala

Finalmente in sala. America Latina è il terzo lungometraggio dei fratelli D’Innocenzo, Fabio e Damiano. Partiamo da un presupposto: non possiamo dirvi moltissimo sulla trama perché il film si configura come un thriller psicologico e quindi tutta la pellicola è tesa al finale. Durante la conferenza stampa ufficiale la moderatrice Alessandra De Luca ha anche lei giustamente ricordato questo aspetto, onde evitare domande che potessero dire o chiedere troppo. Venendo alla pellicola, si presenta in due livelli di comprensione. Sullo schermo appare la prima, la storia di Massimo, dentista benestante che vive in una elegante villa con piscina insieme alla sua famiglia, composta dalle due figlie e dalla moglie. Ha anche un padre con cui ha un rapporto intriso di odio e di colpa. Nello scantinato di questa villa, però, giace un mistero, qualcosa che sconvolge improvvisamente la vita dell’uomo. Il secondo livello di comprensione è quello che macina e si fa spazio nella mente dello spettatore dopo la visione. Fuoriusciti da quello che è un incubo visivo e sonoro, grazie alle musiche impeccabili scritte dai Verdena, una fotografia disturbante e dei suoni calcati e ossessivi ai limiti del fastidio, tutte le domande poste a noi stessi al termine della proiezione hanno trovato le loro risposte e i pezzi si sono incastrati. Si intuisce, quindi, che il personaggio di Massimo, interpretato da Elio Germano, è il film, inquadrato in primissimi piani della sua testa rasata e dei suoi occhi che a un certo punto schizzano fuori dalla testa. Si capisce, inoltre, quanto affermato dai D’Innocenzo, registi e sceneggiatori, e dallo stesso Germano, in conferenza stampa, ossia che America Latina è un film sull’amore, come dice il sovratitolo sul manifesto, provato dal protagonista nei confronti della sua famiglia, di suo padre, e soprattutto verso sé stesso; Massimo è in cerca di questo amore, ma per raggiungerlo entra in crisi e cerca di uscirne inizialmente chiedendosi chi è, se è in grado di amarsi e se può perdonarsi. Per questo interesse verso la sua anima, come ha sottolineato lo stesso attore, il personaggio dimostra una sensibilità e una cura per sé che lo allontana dal machismo imperante dei personaggi maschili di buona parte del cinema di oggi.

Massimo è, allo stesso tempo, schiacciato da ciò che gli sta attorno, dalla società, dalla perfezione della sua ricca vita che lo pone in una posizione privilegiata, senza chiederglielo. È una persona fragile che non ha il modo di dimostrarlo. C’è letteralmente qualcosa sotto la vita di quest’uomo, sotto la sua villa, che vuole uscire e ciò lo mette, appunto, in crisi. Così Elio Germano tratteggia il suo personaggio, utilizzando parole chiare, precise, ossidriche; l’attore spiega, inoltre, che il titolo della pellicola rimanda a una terra lontana, desolata come Latina che prima era palude, poi è divenuta città in cui tutto sembra essere distante dalla vita normale delle altre città. I fratelli D’Innocenzo, per tutto ciò, si spostano dalla coralità segmentata di Favolacce, per dedicarsi a un unico nucleo narrativo, a uno sviluppo regolare di una vita e di una storia, visceralmente legata al personaggio di Massimo e reso perfettamente e in maniera convincente da Germano. Attenzione: America Latina non è impeccabile, presenta dei momenti in cui si flette nel crescere della tensione soprattutto verso il finale, però spiazza e turba chi guarda, si insinua nei suoi pensieri e cresce, cresce, cresce, fino a tirare una riga, esattamente come i titoli di testa che sono mostrati per lungo, in un unico sottile corso. I fratelli D’Innocenzo stanno crescendo, si stanno evolvendo e lo fanno anche grazie alle loro fragilità che hanno messo in evidenza nella conferenza stampa. Hanno affermato, infatti, che loro sono dei codardi, hanno paura dei trionfi e tendono a isolarsi da tutto quando scrivono, si discostano dal successo e dal clamore, per chiudersi in loro stessi e riflettere su come esprimersi attraverso un nuovo progetto, una nuova idea di cinema. 

Abbiamo visto, poi, la terza gemma di quel prezioso concorso che sono i corti del Fuori Concorso. Dopo la notte hongkonghese di stasi a seguito della tempesta di The Night di Tsai Ming-liang, dopo la dimostrazione di cosa voglia dire vivere nella paura in Sad Film di Vasili, arriva Plastic Semiotic di Radu Jude, ultimo Orso d’oro al Festival di Berlino. Il corto è un esercizio di stile ben curato che rappresenta il cinema, in quanto per girarlo sono bastati i suoi tre elementi base: la luce, l’inquadratura e il montaggio. Sullo schermo il regista racconta la vita dell’uomo utilizzando i giocattoli in varie pose e combinazioni. Questi suddivisi per le stagioni della vita, infanzia, adolescenza, età adulta e vecchiaia, descrivono i diversi momenti dell’esistenza, della storia, dell’uomo in pose statiche così da imprimerne meglio il significato. Si ride, si pensa, si prova un velo di tristezza, in questo utilizzo alternativo dei giocattoli, gli strumenti con cui i bambini imparano a crescere. 



Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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