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Conclusioni Chinese Visual Festival 2017

Resoconto dell'edizione 2017 del Chinese Visual Festival, una rassegna che sta diventando sempre più forte e soprattutto sempre più necessaria per divulgare lavori pregni di qualità e impegno

Il Chinese Visual Festival 2017 si è concluso con una cerimonia al British Film Institute (BFI), con alcuni tra i media partner e sponsor che hanno permesso al CVF di portare alla nostra attenzione anche quest’anno opere e protagonisti che difficilmente avremmo avuto occasione di conoscere. Il festival è durato dieci giorni con un intenso fine settimana pieno di proiezioni e incontri.
Quest’anno il CVF ha puntato molto su lavori di grosso spessore sociale e ha ospitato i due registi-attivisti Ju Anqi e Wen Hai, che hanno risposto alle domande degli spettatori dopo la proiezione dei loro film in programma. Ju Anqui ha un approccio più sperimentale e simbolista, spesso condito di un sottile umorismo, che abbiamo avuto modo di vedere nei suoi Drill Man, Poet on a Business Trip e There’s a Strong Wind in Beijing. Al contrario Wen Hai ha uno stile estremamente realista e i suoi documentari We e We the Workers sono frutto di un’attenta e prolungata osservazione di momenti politici e di cambiamenti sociali della Cina. Se We, del 2008, era un oggettivo resoconto del movimento riformista di quegli anni per bocca di tre attivisti, We the Workers è un’opera più complessa ed esteticamente più raffinata, in cui per ben sei anni il regista segue gli attivisti dei diritti dei lavoratori nella zona industriale del sud della Cina, mentre lavorano alla formazione di una solida coscienza della classe lavoratrice e la creazione di un nuovo movimento dei lavoratori.
Una giornata piena di spunti interessanti è stata anche quella dedicata ai giovani registi di Hong Kong con il festival itinerante Fresh Wave. I quattro film presentati spaziavano da un horror (Little Shop of Grotesque) e un 'girlhood' (Bible of Kong Girls), ad un’inquietante riflessione sul cinema verità (Realism) e un malinconico ritratto del disagio di appartenenza dei giovani di Hong Kong (Piled Clouds), per me il migliore dei quattro.
Le due registe Michelle Hung Tsz-ching di Little Shop of Grotesque e Wong Cheuk-man di Piled Clouds erano ospiti della rassegna e hanno risposto timidamente alle molte domande degli spettatori, rivelando un sottile pessimismo in questo momento critico e di gran cambiamento per il cinema di Hong Kong quando hanno parlato delle grandi difficoltà dei giovani registi alle prese con la censura cinese e con un mercato sempre più orientato verso i risultati del botteghino a discapito dei contenuti. C’è da aggiungere però che Fresh Wave si è rivelata un'ottima piattaforma per registi che hanno poi prodotto alcuni tra i migliori film in questi ultimi anni anche con contenuti che hanno anche sfidato la censura. Auguriamo quindi alle due giovani registe, Michelle con la sua passione per il genere horror e Wong con le sue citazioni allo 'slow cinema' di Edward Yang di trovare la loro nicchia e di non cedere!
Altra popolarissima serata è stata la Cinema Comrade che dà spazio al cinema LGBT di lingua cinese e che ospitava il film vincitore del festival, The Priestess Walks Alone, selezionato dalla giuria formata dalla filmmaker e produttrice Shanshan Chen, il giornalista e scrittore Kevin Ma e il docente Gary Bettinson. La regista di questo toccante e onesto documentario, Huang Hui-chen, è intervenuta via Skype ad un commosso Q&A finale.
Nella stessa serata è stato mostrato anche Re:Orientations di Richard Fung. Il regista aveva realizzato nel 1984 il documentario Orientations: Lesbian and Gay Asians, in cui esplorava la comunità gay asiatica di Toronto in un'epoca preludio di grandi cambiamenti politici ma ancora molto problematica per la comunità LGBT. In Re:Orientation, Fung rivisita sette degli originali partecipanti al suo primo lavoro, con interessanti risultati, rendendolo un affascinante esperimento geo-sociale e un documento molto attuale, ricco di tematiche che si intersecano.
A chiudere il festival è stato il film taiwanese The Road to Mandalay del regista birmano Midi Z, seguito da un drink di arrivederci, con cui gli organizzatori del Chinese Visual Festival, esausti ma soddisfatti, hanno salutato il pubblico e gli ospiti di quest’anno.

C’è un grande impegno e molta passione dietro questo piccolo festival che sta diventando sempre più forte e soprattutto sempre più necessario per divulgare lavori di qualità e impegno, che rischiano di essere schiacciati dalle regole del mercato di massa. Lunga vita quindi al Chinese Visual Festival!




Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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