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Festa del Cinema di Roma 2016: conclusioni

A una settimana dalla conclusione della Festa del Cinema di Roma, tiriamo le somme a mente fredda della 11esima edizione, quella che ha visto trionfare Captain Fantastic, perfetto suggello al 'grande imbroglio' che è diventata la rassegna romana

La Festa è dunque finita, passa in archivio l’edizione del 2016, quella dove l’indirizzo scelto dal suo direttore Antonio Monda si è appalesato in maniera inequivocabile.
E cominciamo dalla fine, perché il premio assegnato dal pubblico a Captain Fantastic di Matt Ross, uno dei due o tre peggiori film in assoluto visti, è il perfetto suggello al 'grande imbroglio' che è diventata la rassegna romana.
Affrontiamo le riflessioni conclusive per capitoli ed argomenti, altrimenti si rischierebbe di fare una lista di valutazioni inutili.

La selezione. Sin dalla sua presentazione era apparsa chiara la mission della Festa: rischi zero, la gran parte dei lavori attinti a piene mani dalle due rassegne di riferimento (Sundance e Toronto) a dimostrazione di un lavoro per il quale non c’è stato certo da sudare le proverbiali sette camicie. Predominanza assoluta di lavori americani, alcuni in coproduzione così che la Festa ha potuto riempirsi la bocca con la presenza di decine di cinematografie. Dove non è bastato attingere dalle rassegne di riferimento, sono intervenuti i distributori italiani che hanno gentilmente regalato anteprime di lavori che entro 20 giorni al più tardi vedranno la luce nelle sale.
Alle fine sorge poi un dubbio: ma questi film sono stati visti dai selezionatori, americani a parte? Il tarlo si insinua sin dalla conferenza di presentazione, quando il Direttore Antonio Monda ha millantato, a precisa richiesta di una giornalista rumena, la presenza di un lavoro di quel Paese, che ovviamente non c’era. Lo stesso Monda ha dimostrato di non conoscere neppure i titoli dei film che uscivano dalla strettissima cerchia delle americanate (Train to Busan è diventato Road to Busan durante la conferenza stampa di chiusura).
Insomma se la selezione lasciava molto a desiderare sin dal primo sguardo, la rassegna è riuscita ad andare anche oltre le peggiori aspettative, ma il pubblico ha gradito la falsità, la retorica, la ruffianeria e il conformismo anticonformista di Captain Fantastic, quindi la scelta programmatica ha avuto ragione: il peggior film, o quasi, ha vinto.
Tralasciamo per senso del pudore l’assoluta inconsistenza della retrospettiva su Tom Hanks, fatta noleggiando i DVD all’angolo della strada e gli eventi collaterali messi in piedi con gran fracasso di tamburi che nulla hanno aggiunto alla qualità della Festa.
E per concludere: è possibile che Cina, seconda industria cinematografica al mondo, Corea del Sud, industria ormai consolidata e dalle grandi capacità tecniche, Giappone, la cinematografia asiatica probabilmente più solida, meritino tre film in totale nella rassegna? Oppure c’è un'autentica cecità assoluta veicolata dal solito patetico ritornello che gli asiatici fanno film noiosi e lenti, come con grande autorevolezza si è espresso uno dei più grandi geni del cinema italiano dopo la vittoria di Lav Diaz a Venezia?

La Grande Illusione che diventa Inganno. Avere una idea di rassegna cinematografica che si discosti da quella classica da festival può anche essere lecito, non entriamo nella stucchevole contrapposizione Festival-Festa, che si badi bene non è solo lessicale, soprattutto è una questione filosofica, ma dichiarare con una spavalderia che sfiora l’arroganza la convinzione che Roma stia diventando un laboratorio per la creazione di un nuovo modo di mettere in piedi una rassegna cinematografica è pura farneticazione autoreferenziale: fa presto Monda a sventolarci in faccia le fotocopie degli articoli dei suoi amici americani del New York Times sulla Festa. La verità tragica, appurata da chi la rassegna l’ha vissuta, è che in dieci giorni nelle sale e negli spazi annessi non si è mai sentita altra lingua parlata che non fosse l’italiano. Stampa estera assente e la scarsissima copertura che anche i quotidiani nazionali hanno data all’evento dovrebbe far capire qualcosa alla cricca di Monda e invece no, tanto i pennivendoli pronti a scrivere di gossip mascherato da cinema ci sono sempre.
Caro Direttore (ed accoliti), evitate almeno di insultare l’intelligenza di chi il cinema lo mangia a tutte le ore del giorno e della notte e che i festival un minimo li conosce: la perspicacia con la quale inseguite il vostro anticonformismo conformista che si manifesta con valutazioni assurde sui festival classici (niente red carpet, che però poi fate per personaggi inquietanti, niente madrine, niente snobismo da festival, niente elitarismo cinematografico) dimostra la vera natura populista-qualunquista dell’idea che avete della rassegna romana.
La filosofia è quella che la Festa del Cinema di Roma deve vivere sugli incontri? Benissimo, si abbia almeno la decenza di coinvolgere personaggi che con il cinema abbiano qualcosa a che vedere, o basta avere scritto due canzoni per i capolavori indubbi di Muccino per fare di un Jovanotti qualsiasi un personaggio cinematografico?

L’organizzazione che crea l’emarginazione. Il programma messo in piedi per la stampa mostra chiaramente l’indirizzo ideologico della rassegna: slot della mattina tutti assegnati a film americani, con rarissime eccezioni. Vuoi vedere la proiezione stampa di quelli sudamericani ad esempio? Resti fino alla sera alle 19.30. Questa che sembra una bizzarria organizzativa è invece, alla luce di quanto detto, una scelta studiata con cura, derivante dalla convinzione degli organizzatori che il cinema americano sia il Cinema, il resto curiosi tentativi cinematografici di emergere.
Inoltre la sensazione che molte cose siano state messe in piedi con l’intento di piazzare i bastoni tra le ruote alla critica è piuttosto tangibile, ma trattandosi solo di impressione, non ci spingiamo oltre.

Il baraccone. Tralasciando il noioso e sterile discorso sul budget a disposizione della Festa (di sicuro con un quarto di questo fantomatico budget realtà come il Far East Film Festival, solo da quest’anno finalmente scoperto dai più alti vertici del potere statale, metterebbero in piedi uno dei 4-5 festival più importanti al mondo), rimane l’impressione che la solita congrega trasversale di tipico stampo romano (salotti pseudo-intellettuali, politica di bassa lega, pennivendoli conniventi e via di seguito) abbia messo in piedi un baraccone che serve solo per nutrire la propria vanagloria, incurante dell’aspetto puramente artistico e culturale, parandosi dietro quello che è il vero male della nostra realtà italiana, e romana in particolare, da ormai troppo tempo: il qualunquismo-populista.
Per noi, vecchi romantici della vera magia del Cinema e convinti del suo grande potenziale culturale, oltreché noiosissimi rompiballe (per non usare altri termini più coloriti) i festival o feste che dir si voglia, debbono essere un’altra cosa: la possibilità di conoscere un panorama cinematografico mondiale che non si avvale della consueta e ordinaria distribuzione, altrimenti si abbia il coraggio di abbandonare quella cattedrale nel deserto che è apparsa in questi giorni la Città della Musica costruita da Renzo Piano (con tanto di Red Carpet desolatamente vuoto) e si delocalizzi nei numerosi multisala presenti in città (come in larga parte fanno a Toronto), così la Festa sarà veramente spalmata su tutta la città e tutti saranno felici.


Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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