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Venezia 69: titoli di coda

Titoli di codaGli inviati di LinkinMovies.it a Venezia 69 tracciano un bilancio personale della Mostra del Cinema: film, luoghi, incontri, esperienze cinefile e non, tra il serio e il faceto, per raccontarvi undici giorni sull'isola cinemaniaca per eccellenza

Cosa rappresenta la Mostra del Cinema e per quali motivi mi sento di ringraziarla. Per chi non ha mai vissuto la Mostra del Cinema di Venezia posso dire loro con onesta franchezza che ha fatto bene. Questo Festival (non è un Festival, ma una Mostra, un'esibizione dell'arte cinematografica. Devo tirare le orecchie a chi si ostina a chiamarla così in particolare il Direttore Barbera) è un essere bulimico e fagocitante. Molto peggio dei più stressanti lavori, dall'operaio, al manager, non quanto il minatore, detta e scandisce la giornata senza possibilità di tregua. Tutto è calcolato al millesimo di secondo. La sveglia suona alle 7.30 e fino alle 2 di notte il corpo del giornalista o dell'industry o del semplice amante di cinema a cui è stato affibbiato il malefico accredito culturale (quello verde) subisce uno stupro indiretto. Dalla sala, si passa alla sala stampa, alle conferenze stampa, al ristorante (mai economico), all'Hotel Excelsior nel vano tentativo di incontrare qualche star. È come essere una mega pallina di un flipper alla sacrosanta ricerca di quel tunnel che conduce fuori dalle luci e dalle molle del gioco. Il problema è che nemmeno quando si chiudono gli occhi si trova la pace. La programmazione del giorno successivo aleggia nelle stanza come un fantasma e ricorda che l'indomani in Sala Darsena c'è la proiezione del film di De Palma che si replica, nel caso in cui si volesse vedere quello in Sala Perla alla stessa ora, alle 11 in un'altra sede.
La Mostra del Cinema è questo, ma è molto altro. Si costituisce di mille dialoghi più o meno seri o fanatici con tutti coloro che condividono una qualsiasi fila, da quella per l'accesso in sala, a quella per la cassa, a quella per il bagno, il luogo migliore per parlare, perché si fa di tutto per evitare di incrociare lo sguardo di chi ti lascia il posto. Di solito la domanda più frequente è: "Hai visto qualcosa di interessante?". Le risposte sono le più disparate. Le migliori sono quelle date, non per credere ai pregiudizi, da persone con occhiali, capelli lunghi, barba incolta, tono dimesso e una t-shirt di un qualsiasi film i cui occhi si illuminano a questa domanda. Questa entità si sente autorizzata a dover giustificare nei dettagli cosa lo ha convinto di un film, supportando la sua tesi con una disanima linguistico-tecnica sull'evoluzione artistica del regista. È vero, devo imparare a stare in silenzio!
Davide ParpinelLa Mostra è questo, ma anche. È l'alternanza alimentare di pasta e pizza innaffiata da acqua e birra offerti salatamente dalla persona insignita di gestire la ristorazione (mai fare nomi). Questa dieta coatta conduce lo stomaco di chi la subisce a restringersi talmente tanto, da non apprezzare più un buon piatto di pasta fatto in casa. Certo ci sono diversi ristoranti che circondano il Palazzo del Cinema e la zone della Mostra, ma invito prima di tutti i signori della Guardia di Finanza a pasteggiare da loro per controllare prezzi e scontrini. Solo successivamente valuterò la qualità del loro cibo.
La Mostra è questo, ma anche altro. È il potere di fascinazione che il cinema ancora crea nelle persone e che nonostante crisi, pochi soldi e produzioni low budget, conduce folle di ragazzi e adulti, ancorati alla struttura che divide il red carpet dalla strada, a sfidare pioggia e vento per vedere le loro star.
La Mostra è uno spirito, un'atmosfera, un presente che rimane indelebile nella mente di ognuno. È il circondasi di cultura, di condivisione di saperi. È la sensazione di trovarsi per 10 giorni nell'ombelico del Mondo, per lo stretto contatto con persone provenienti dall'Estremo Oriente, passando per il nord Africa, per finire con la Colombia e l'Argentina.
La Mostra nonostante tutto è un luogo da vivere e amare e per questo voglio fare i miei personali 10 ringraziamenti. Assolutamente non in ordine di importanza, ma di come nascono nella mia mente, ringrazio:
  1.     Alberto Barbera perché nonostante non abbia amato cinematograficamente la Mostra del 2012, è riuscito a proporre qualcosa di diverso rispetto alle edizioni, immortali, del grande innominabile che l'ha preceduto.
  2.     Le splendide fanciulle, instancabili lavoratrici del comparto della ristorazione che osservando il mio evidente deperimento fisico mi hanno passato piccole derrate alimentari di nascosto. Che non si sappia troppo in giro.
  3.     L'architetto che ha progettato la Sala Darsena e la sua personale idea che gli esseri umani non possono essere più alti di 160 cm.
  4.     Di conseguenza ringrazio tutti coloro che si sono seduti dietro di me a qualsiasi proiezione in quanto hanno sopportato in silenzio la mia stazza, i miei vaporosi capelli e la mia impossibilità di stare comodo seduto su scomode poltroncine, soprattutto quelle della Sala Darsena, appunto.
  5.     Ringrazio l'uomo che durante la proiezione della Bella addormentata di Marco Bellocchio alla comparsa del faccione dell'ex premier italiano e delle sue dichiarazioni dubbie sullo stato vegetativo di Eluana, urlava con accento romano: "Berlusconi infame, vergognate!".
  6.     Ringrazio Harmony Korine, James Franco e le attrici di Spring Breakers che mi hanno regalato una delle scene più belle della storia del cinema. Non la anticipo. Quando vedrete il film, capirete.
  7.     Ringrazio tutti i critici e giornalisti, soprattutto italiani, che hanno osannato Après mai di Olivier Assayas non per la reale fattura del film, ma solo perché parlava del Sessantotto. Della serie gli ideali non muoiono mai.
  8.     Ringrazio Brillante Mendoza perché il suo Sinapupunam è stato, personalmente, il miglior film visto in questa edizione della Mostra. Un raro esempio di come è possibile declinare in immagini liriche una storia profondamente attuale con intensità e dolcezza. Allo stesso modo ringrazio Wang Bing sia per la sua forza e intelligenza sia perché il suo cinema ha una potenza senza eguali.
  9.     Ringrazio gli autisti dei bus dell'ACTV che, per carità o per mancanza di voglia, non mi hanno mai chiesto di esibire il biglietto di corsa, che ovviamente non avevo, sia di giorno che di notte.
  10.     Non me ne vogliano i tre collaboratori, ma l'ultimo ringraziamento va al mio collega di testata con cui condivido, professionalmente, da 4 anni la magia della Mostra del Cinema con la stessa intensità e passione che masochisticamente ci accomuna. (Davide Parpinel)

Una immagine di Kiss of the DamnedIl cimitero veneziano. La 69a edizione del festival veneziano, la prima del dopo-Muller, la prima dell'era Monti-austerità meneghina, la Mostra della Crisi economica e dello Spread, quella della riduzione del numero di film in programma e del gossip ridotto ai minimi termini, in termini cinematografici, e nella modesta opinione di chi scrive, passerà alla storia più che altro come quella della Tristezza, delle Storie dure, delle Periferie grige, della Miseria quotidiana pratica e morale.
Sono i marginali, gli esclusi, i resti sociali scartati dallo sviluppo economico globalizzante, i lati oscuri di una società sempre meno sociale e sempre più accozzaglia di aspirazioni e bisogni indotti, i protagonisti delle storie mostrate sugli schermi del Lido in questo 2012 di maree fangose più che di catartiche mareggiate. Il cinema-spettacolo che vive e prospera nelle sale viene incalzato da un cinema debole, in cui non luccica la tecnica ma lo stridore tra personaggio e realtà in cui il personaggio è immerso, in cui l'ambizione ad essere più veri del vero è amplificata dalla voglia degli autori di competere sul terreno del dolore, della sconfitta, più che su quello dello stupore e della regressione infantile del pubblico (da blockbuster). Così, è naturale che dove lavori come quelli di Kim, di Anderson, di Seidl, di Wang, vanno a contendersi i premi più prestigiosi, altre storie sembrano stonare per via del loro esserci al limiti della (s)canzonatura, come le ragazze in salsa paracula di Spring Breakers o il romanzone in costume di Linhas de Wellington, o il divertissement splatter di Shark 3D. È la crisi in tutto il suo splendore oppure il cinema degli orizzonti futuri racchiude giocoforza il rapporto tra il mainstream (economico, politico, sociale) e i suoi rivoli marginali emarginati ed emarginanti? Solo il tempo cova una risposta, e l'avremo dunque in un futuro non molto prossimo. Intanto, per il futuro imminente, aspettiamoci uno tsunami di blockbuster, siano essi cine-comics, digital-fantasia più o meno sempre uguale, rom-com con il divo e la diva del momento, hype a trascinare storie mediocri con molto contorno di effetti speciali e insomma il solito armamentario che il cinema-circo-marketing ci ha servito negli ultimi 15 anni. Poi, si vedrà cosa cresce sull'onda lunga che ci sommergerà di attrazioni da luna park dopo i dieci giorni di cimitero veneziano. (Paolo Villa)

Il Palazzo del Cinema di VeneziaMemorie dal sottosuolo (del Palazzo del Cinema). Pindemonte, fossi stato a Venezia, in questi giorni, non alle urne dei forti ti avrei chiamato, ma alle meno definitive ma forse più evocative latrine della Sala Grande.
Non l’effimero tappeto rosso, non gli scranni da American Bar o gli abbronzatissimi, arroganti energumeni della sicurezza, o Diva, ma i cessi dimessi, così ordinari coi loro lavabi difettosi e le salviette sempre mancanti, nella prosaica livella sottoterra, questi sì generano la corrispondenza d’odorosi sensi che ci accomuna ai Forti che passarono.
Sapere che qui trovarono sollievo, tra gli altri, Amedeo Nazzari, Massimo Boldi e Orson Welles, scatena in me pensieri più forti e più soavi, rispetto ai gravi umori generati dai gastroenterici sforzi autoriali visti sopra. Inutile farcire di Bifidus italiano il ventre ormai lasso della Bier. La regolarità è contraria alla consistenza, insegna Malick, la cui stiticità poneva nel mito, ora affranto, purtroppo, da incontinenza senile che lo costringe a pensarsi addosso le più stantie banalità, mascherandone la graveolenza coi profumi estetici da spot Chanel.
No, meglio il sottosuolo, dove magari, su quella tazza, François Truffaut perdonò la razza umana per non aver capito il suo Fahrenheit 451 o dove Marco Ferreri, forse, meditò sul suo ritorno da figliol prodigo dopo le contestazioni giovanili. Qui, mi piace pensare, si liberarono ventri e pensieri e forse qualche capolavoro iniziò la sua genesi.
Ancora oggi, a chi è fortunato, può capitare di dividere il vespasiano con l'attore turco o il premiato coreano. E ci si sente vicini, fratelli. Protagonisti e spettatori accomunati da quel tanfoso giogo che rappresenta per tutti il primo atto di creatività. (Danilo Bottoni)

Giornalisti in attesa del verdetto a Venezia 69I paradossi del Lido. Dopo l'era Muller ed il suo presunto pallino per l'Oriente vince un film coreano. Bel paradosso. Ma non è l'unico: Kim Ki-duk è sembrato mettere d'accordo critica e pubblico con un film che si posiziona ben al di sotto dei suoi primi capolavori. Il vincitore è lì a dimostrare quanto in quei dieci giorni non si sia vista la grande opera maestra come invece è accaduto lo scorso anno.
Piccole polemiche hanno riguardato l'assenza di grandi star di Hollywood, di feste ed un calo di presenza, ma il mio vissuto è stato di un via vai frenetico tra le vie della cittadella del cinema. Il calo di presenze non ha mutato il prestigio o la risonanza mediatica della Biennale Cinema: come ogni anno, tranne che per quei quattro gatti coi negozi ed i ristoranti di lusso che speculano sui prezzi con la bava alla bocca, il clima della Mostra scompariva al di fuori del Lido, ma le pagine, a lei dedicate, sui giornali abbondavano rendendo l'evento alieno e virtuale.
Poche feste rispetto agli anni scorsi, ma è più probabile sia l'effetto Monti che l'effetto Barbera. Senza contare che i party in contesti glamour sono deprimenti: tutti per conto loro, tutti a sfilare in qualche modo, in cerca della loro miglior prestazione. Tutti ad occhi bassi ad eccitarsi e nutrirsi del superfluo e, dentro in sala - anche tra addetti ai lavori - tutti vicini ed isolati. Rarissimi gli scambi di opinioni, arrivano all'orecchio solo quelli frivoli dei soliti ridicoli benpensanti snob canuti andati a male. La Mostra è un posto triste, dove è facile sentirsi soli e le feste non fanno che aumentarne la parte perniciosa.
Le piccole polemiche servono solo ai giornalisti a corto di idee che hanno paura di esser licenziati o, peggio, a quelli che credono sia il tipo di informazione che vuol leggere il loro lettore medio.
Se la Mostra è sopratutto Arte cinematografica allora è stata un'edizione robusta che, sorprendendo quasi gli stessi organizzatori, ha funzionato. E se è vero che ho apprezzato in media solo un film su cinque, significa che ho visto almeno una decina di grandi film in dieci giorni, una rarità. (Michele Arienti)

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