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Il grande addio... dopo Chinatown

Roman Polanski e i fatti di Cielo Drive oltre che la sua vita passata; Robert Towne e la scrittura di una grossa sceneggiatura; Robert Evans, la Paramount e una nuova Hollywood; infine Jack Nicholson attore in ascesa alla ricerca del successo. Questo e molto altro c’è nel nuovo libro di Sam Wasson Il grande addio. Chinatown e gli ultimi anni di Hollywood, che incuriosisce e appassiona per ciò che racconta e per come lo racconta

Che cosa rappresenta Chinatown, il film del 1974, per Hollywood, per il cinema americano delle major, per quattro uomini, per Los Angeles, per la società americana di quegli anni? Un film, una semplice opera cinematografica, un racconto per immagini, può davvero condensare tutti questi riferimenti? Sam Wasson, studioso e scrittore della settima arte a cui piace indagare e raccontare, crede che in Chinatown, una delle maggiori espressioni registiche di Roman Polanski, forse la migliore sceneggiatura di Robert Towne, si trovino le risposte a tutti questi interrogativi.
Lo scrittore americano, dunque, si è messo alla macchina da scrivere (si diceva così un tempo) e ha confezionato un saggio romanzato, un romanzo con delle profonde venature saggistiche per ricostruire la genesi e l’eredità del film diretto da Polanski. Il grande addio. Chinatown e gli ultimi anni di Hollywood è il prodotto. Edito in Italia da Jimenez, con la traduzione di Gianluca Testani, consta di 395 pagine suddivise nell’introduzione, in quattro parti (parte I: Giustizia; parte II: Eucalipto; parte III: La montagna; parte IV: Gittes vs Gittes), nei ringraziamenti, l’indice dei film citati e le fonti. Edizione 2021, costo 20 Euro.

Un saggio con il filo rosso da romanzo. Innanzitutto c’è da chiarire una questione riguardante la scrittura. Il grande addio può essere definito un saggio romanzato perché la scrittura di Wasson è narrativa, discorsiva, appassionante, restituita perfettamente dal traduttore, quando descrive le vite dei protagonisti, Polanski, Towne, Evans, Nicholson e tutto ciò, fatti e persone, che gli gravitavano attorno. Non è puro raccontare o una cronaca, ma un’indagine molto addentro ai loro pensieri, alle loro azioni, aspirazioni e delusioni, smottamenti emotivi e desideri che emergono con forza, soprattutto in riferimento al regista polacco. La sua malinconia, il senso ineluttabile del suo destino, iniziato a manifestarsi nella segregazione del ghetto di Cracovia, fino alla fuga dagli Stati Uniti a fine anni Settanta, emergono dalle parole di Wasson e si impadroniscono della lettura. Così chi legge comprende che il vero perno narrativo de Il grande addio è appunto Polanski, più del film stesso. Partendo dalla sua fantastica vita con Sharon Tate, con un breve accenno al suo passato in Polonia, alle persecuzioni razziali durante la Seconda guerra mondiale, passando per il brutale omicidio della sua amata, il rifugio in Europa, il trascorrere del suo tempo a coltivare le sue 'perversioni', il suo cercare continuamente un modo per mitigare i traumi della sua vita passata e presente senza comprendere che così la stava trasformando, invece, in un profondo incubo, fino alla coscrittura e direzione di Chinatown e alla vicenda dello stupro di Samantha Gailey e all’allontanamento volontario dagli Stati Uniti, Wasson incardina la sua scrittura su questo asse, comportando, quindi, in chi legge una forte immedesimazione e comprensione della figura del regista. L’autore, così, individua nel suo racconto un personaggio principale, il regista, un antagonista (Towne forse? O la vita stessa di Polanski?) e i personaggi secondari come se stesse riscrivendo un noir di Raymond Chandler. Tutt’attorno si staglia il contesto che per come è minuziosamente indagato dall’autore, appare come un altro personaggio: Los Angeles, la California, i poteri forti a lei sottostanti, i grandi misfatti e i pericolosi abusi di quegli anni Sessanta e Settanta che si riversano, non a caso, nella sceneggiatura di Chinatown. Quello era anche il tempo, come sottolinea e descrive Wasson, anche dei fatti di Cielo Drive del 1969, della Summer of love che proprio nello squilibrio di Charles Manson e della sua family trova la sua fine e la perdita di quella purezza naturale che l’aveva caratterizzata, generalizzata a tutta l’America. Poi c’è Hollywood che scopre in Chinatown un nuovo modo di raccontarsi, di raccontare il mondo e, soprattutto, di fare cinema, ponendo la pellicola, così, a spartiacque tra quello che è stato fino al 1974 il cinema delle major e quello che sarà. Insomma Il grande addio si presenta alla lettura come un romanzo per tutti questi motivi e anche un saggio, perché propone dati, informazioni, vicende, cronache e punti di analisi. Il grande addio è, pertanto, il racconto delle genesi e fortuna di un film, con l’appassionata cronaca delle vite che lo compongono. Tutto ciò ne rende appassionante la lettura.

Ecco quindi il racconto. Le edizioni Jimenez si caratterizzano per la grande maneggevolezza e praticità dei libri; quindi anche se il libro è di quasi 400 pagine non risulta mai scomodo nel tenerlo in mano per la lettura. Detto questo, il saggio/romanzo di Wasson si presenta come un libro di parole e immagini. A parte il primissimo piano di Nicholson con il naso accoltellato nei panni dell’investigatore J.J. Gittes in copertina, il volume a inizio di ogni parte presenta una foto di archivio. Si possono osservare i volti e corpi dei protagonisti come Roman Polanski, Sharon Tate, Jack Nicholson, Angelica Huston in foto d’archivio. Wasson dedica l’introduzione a presentare i quattro principali interpreti Polanski, Nicholson, Towne ed Evans, nel momento delle loro carriere in cui stanno per avvicinarsi alla creazione del film. Poi l’autore aggiunge: "Robert Towne disse una volta che Chinatown è uno stato mentale. Non solo un luogo sulla mappa di Los Angeles, ma una condizione di totale consapevolezza quasi indistinguibile dalla cecità. Sognare di essere in paradiso e svegliarsi al buio: questa è Chinatown. Pensi di aver capito tutto e realizzi che sei morto: questo è Chinatown" (pp.16-17), per indicare al lettore la lente del cannocchiale con cui inquadrare il suo libro. La parte I, intitolata Giustizia, si focalizza, quindi, sul rapporto tra Roman Polanski e Sharon Tate, sullo stato delle loro splendide carriere alla fine degli anni Sessanta e sulla loro vita nella casa di Cielo Drive. La narrazione tocca l’omicidio di Sharon, in quel momento incinta, e Jay Sterling e la reazione che provoca nel regista polacco che si avvicina sempre più a credere nel caos, perché per l’ennesima volta nella sua vita si dovette confrontare con il sentimento della perdita. Eucalipto, seconda parte, parla più di Hollywood, di Robert Towne e Robert Evans, a quel tempo nuovo capo della Paramount, che intrecciano le loro vite cinematografiche con un giovane Jack Nicholson arrivato alla notorietà grazie a Easy Rider, ma in cerca della consacrazione. In questo capitolo Wasson descrive, inoltre, la Los Angeles nel passaggio Sessanta-Settanta, le sue caratteristiche di vita e le vicende che portano alla crescita del desiderio di affermazione dei protagonisti. Sullo sfondo si muove la scrittura della sceneggiatura di Chinatown, le volontà di Towne di scrivere un racconto sentimentale della città e l’incontro con Polanski che cancellò ogni riferimento a ciò per, invece, creare una cornice velata di minacce e depravazione. Nella parte III, Montagna, de Il grande addio interviene Nicholson, il quale in quegli anni proveniva dalla Spagna e dalle sofferenti riprese di Professione: Reporter di Michelangelo Antonioni. Questa esperienza non lo aveva arricchito, anzi lo aveva svuotato a causa della difficile relazione con il regista. Aveva, quindi, voglia di riscatto l’attore americano che si presentò con il copione di Chinatown. Il racconto di Wasson a questo punto si inoltra nella preparazione del film, nel racconto delle riprese, del rapporto tra Faye Dunaway e Polanski, i continui conflitti ideologici tra regista e sceneggiatore, fino alla premiere, l’attesa risposta di critica e pubblico. La quarta parte Gittes vs. Gittes racconta il dopo. Lo stupro della Gailey da parte di Polanski avvenuto nella casa di Nicholson che arriva nella narrazione senza troppi colpi di scena, come se l’autore avesse voluto affermare che si trattava di una 'normale' conseguenza a quella corruzione di pensiero che pervadeva la mente del regista. Corruzione che investe anche Towne che dopo la vittoria dell’Oscar per la Migliore sceneggiatura nel 1975, si trova sempre più legato al denaro, all’abuso di cocaina. L’ultima parentesi del libro si conclude negli anni Ottanta in cui Wasson raccoglie i destini dei quattro protagonisti, soprattutto di Polanski, atterrito dal suo volontario esilio europeo, ma pur sempre prolifico e creativo nel rapporto con la settima arte.

Qual è il grande addio? Wasson risponde che si tratta dell’addio di una stagione di Hollywood che si apprestava dopo Chinatown a mutare i suoi centri focali. A ciò contribuì sicuramente la scrittura di questa sceneggiatura che vide scontrarsi apertamente, come già sottolineato, Towne e Polanski ossia il contrapporsi di un’antica visione di cinema di Hollywood contro un nuovo punto di analisi e di modalità di racconto, più caustica, drammatica, tremenda, della realtà. Il grande addio riguarda, quindi, soprattutto gli uomini, Polanski in primis che al termine di Chinatown disse addio alla sua vita precedente, per inserirsi in una senza speranza, pervasa dal dolore e dalla malinconia. Questo è il grande valore ideologico de Il grande addio, ossia che il film, Hollywood, Los Angeles, gli eventi di cronaca e società nascono dagli uomini, delle loro scelte, da quanto vogliono ottenere dalla vita. Per questo Chinatown è uno stato mentale, perché è un modo di vivere e di pensare, con tutte le sue sfaccettature positive e negative, che nasce e si allarga nella mente degli uomini e che da loro viene messo in atto nel cinema, il canale di espressione.

Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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