Logo
Stampa questa pagina

The Congress - Recensione

Un racconto adulto e struggente di fantascienza distopica affida la sua parte visionaria a un cartone animato stile Betty Boop, spezzando la tensione emotiva della narrazione. Il passaggio dall’idea all’atto rivela l’incolmabile iato tra soggetto e scelta stilistica

La fantascienza, luogo privilegiato in cui prolungare le inquietudini delle fiabe tradizionali negli incubi della complessità generata dalla modernità, ha sempre avuto nel cinema un suo spazio riconosciuto e privilegiato. Perlomeno prima di Guerre Stellari, dove la componente ‘avventura’ azzerava magnificamente ogni suggestione adulta presente nel genere.
Ari Folman, in controtendenza con i blockbuster americani dei supereroi o con il catastrofismo pirotecnico e tecnologico alla Michael Bay, parte da un soggetto di Stanislaw Lem, lo stesso autore del racconto che ispirò Solaris, e ne ricava un prodotto intimo e personale in cui confluiscono l’amore del regista per l’animazione e un esistenzialismo dolente cui dà nome e volto l’intensa attrice americana Robin Wright, nei panni di sé stessa o di un suo non troppo dissimile doppio. Ma veniamo alla trama.
La Wright è ormai sul viale del tramonto. Per poter stare accanto al figlio malato, accetta la proposta della sua casa di produzione di farsi scansionare con una nuovissima tecnologia e di cedere così i diritti della propria immagine. Con la sua perfetta copia digitale, la Miramount (facile collage di nomi) potrà girare tutti i film e i serial che crede, senza che lei debba fare più niente, se non starsene riservata fuori dalla ribalta, in cambio di una perennità artistica e una cospicua pensione. Passano vent’anni. Robin è invitata a un congresso, indetto dalla casa di produzione che, nel frattempo, si è fusa con un’azienda farmaceutica giapponese. Questa joint venture ha inventato e diffuso delle droghe che consentono, a chi le assume, di vivere in modo permanente in una realtà creata dai propri desideri. Al congresso le propongono di cedere i diritti della sua personalità per trasformarla in una formula chimica che chiunque potrà assumere per assimilarla come vuole...
Storia intrigante e suggestiva. Ci sono echi filosofici occidentali (Berkeley) e orientali (il Vedanta). C’è pessimismo cosmico, riflessione sulla natura dell’identità, il mito di Faust e anche una delle più belle e agghiaccianti dichiarazioni d’amore mai viste sullo schermo: quella che l’agente della protagonista (un Harvey Keitel gregario lussuosissimo) rivolge alla Wright per sostenerla durante la fatale scansione e convincerla a proseguire.
Manca solo il film. O meglio, l’altra metà del film. Quella che avrebbe fatto di The Congress una pietra miliare della fantascienza per adulti, se il suo mondo visionario e lisergico fosse stato costruito con immagini reali. Sì, perché tutta la seconda parte, quella del congresso, è, come si sarà capito, realizzata interamente in animazione stile fratelli Fleischer.
Tutta l’atmosfera, l’empatia con i personaggi, la curiosità per la loro sorte si scioglie nel variopinto e bidimensionale mondo dei cartoni, senza alcuna giustificazione oggettiva, tranne il progetto del regista che, quasi sicuramente, dev’essere stato tradito dai risultati dell’animazione quando ormai era troppo tardi per fermarsi.

Troppo grande lo scollamento tra le due parti, troppo dissimili i registri narrativi, il nuovo lavoro di Ari Folman si dimentica presto finendo, come tutti gli esperimenti non riusciti, nello sterminato palazzo del rimpianto per ciò che non è stato.

Vai alla scheda del film




LinkinMovies.it © 2012-2017. Tutti i diritti sono riservati.

Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi avere maggiori informazioni, leggi la Cookies policy.