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Nymphomaniac - Volume 2 - Recensione

Si chiude il cerchio della storia di Joe la ninfomane: Lars von Trier ribalta l’atmosfera del primo volume regalandoci un’opera bellissima, intrisa di pessimismo e cattiveria che in alcuni momenti sembra assurgere a summa del suo ideale cinematografico

Con il Volume 2 di Nymphomaniac, usando con grande destrezza l’accetta, Lars von Trier scinde la storia di Joe: la giovane ribelle ninfomane che vive la sua condizione con gioia ed euforia, lascia il posto alla donna matura che si avvia con spirali sempre più fitte in un gorgo di insoddisfazione, di emarginazione e di dolore. Per raccontarci ciò il regista parte da una metafora religiosa, che risulta alla fine essere la vera chiave di volta di tutto il racconto: la discesa di Joe negli inferi della propria vita è come viaggiare da Bisanzio a Roma; la Chiesa d’Oriente è gioia e si identifica nella natività, quella d’Occidente è sofferenza e ha come simbolo supremo la Crocefissione.
Il viaggio di Joe da Bisanzio a Roma vede Charlotte Gainsbourg scendere in campo non solo come narratrice ma anche come protagonista della storia: ha appena avuto un figlio da Jerome, l’uomo cui aveva donato la verginità a 15 anni e rincontrato casualmente. Lui non è in grado di soddisfarla nella sua sfrenata sessualità e accetta che lei possa incontrare altri amanti. Il gioco però dura poco, quando c’è di mezzo sentimento e marmocchi. Joe si ritrova così da sola pronta a varcare la soglia della nuova frontiera, quella del masochismo, attraverso la quale riesce a ridare fiato al suo bisogno di orgasmi, non senza aver provato prima un grottesco tentativo di ménage à trois interracial, momento quasi esilarante. Inserito tra le pieghe del racconto c’è persino il ricordo di un orgasmo mistico in età adolescenziale con tanto di ascensione e figure sacre, che per Seligman però sono Messalina e la Gran Meretrice di Babilonia, progenitrici di tutte le ninfomani.
Pian piano ci si avvicina a quel vicolo dove tutto è cominciato, passando attraverso l’esperienza degli psicologi da quattro soldi dei centri di recupero per i dipendenti dal sesso, il nuovo lavoro come esattrice di debiti fra macchine incendiate e botte, la ricerca di una erede che metta a frutto la sua grande efficienza nel lavoro e che ben presto diventa amante e l’approdo nel vicolo umido e buio dove si saldano i conti in una delle scene più dure del film, in perfetto stile Lars von Trier.
Il buon Seligman da parte sua prosegue nella sua opera di narratore-interprete, ci mette al corrente che per lui il sesso è come la religione, un interessante argomento ricco di spunti ma del quale si è ben guardato di fare pratica: di fronte all’escalation di Joe, l’uomo rimane sempre il lato razionale che quindi spesso non comprende.
Non mancano le dissertazioni più varie anche in questo Volume 2: a parte la metafora religiosa, Von Trier sembra in preda ad una verbosità che a tratti si configura come una summa del suo cinema. Scopriamo così perché la parola 'negro' non deve essere relegata negli idiomi proibiti, come le 'anomalie sessuali' quali anche la pedofilia sono situazioni dolorose. Joe lo scoprirà nel suo lavoro di strozzina, mostrando una empatia che conduce ad una fellatio che più esplicita non si può. Persino l’autocitazione trova spazio in una scena che ricalca in tutto l’inizio di Antichrist ed in una atmosfera che richiama Dogville nel finale.
Insomma, quello che sospettavamo si è puntualmente verificato: pur punteggiando qua e là la storia con momenti di ironia e sarcasmo, questa seconda trance di Nymphomaniac ha tutt’altro registro rispetto alla prima: meno sesso, meno eventi incalzanti, più filosofeggiare e soprattutto l’appalesarsi chiaro della visione pessimistica e nichilistica del mondo da parte di Von Trier, che utilizza un finale all’apparenza grottesco e ridicolo per stravolgere in un minuto quello che si era andato faticosamente e illusoriamente, conoscendo il regista, costruendo.
Le figure di Joe e di Seligman sono la faccia della stessa realtà, fatta di sofferenza e di solitudine, una gabbia dalla quale uscire è impossibile: seguire le pulsioni porta inevitabilmente alla catastrofe, inutile parlare di amicizie nuove e di bontà. Come conclusione della trilogia della depressione, Nymphomaniac è opera coerente che mirabilmente si lega al precedente splendido Melancholia e anche al più deludente Antichrist.

La storia di Joe, così dettagliatamente raccontata e così incompiuta, è il risultato dello sguardo cattivo, buio e privo di speranza di un regista che non si crea alcun problema a portare sullo schermo ossessioni, manie e perversioni personali, frutto di una visione pessimistica della realtà: Nymphomaniac è la quadratura del cerchio di una mente folle e geniale che dietro al suo gusto per la provocazione, a volte invero gratuita, nasconde però una lucidità e una grandezza che ha pochi eguali nel panorama cinematografico di oggi.
Non sappiamo quanto la director’s cut del film aggiungerà a quanto questa versione censurata in due volumi ci ha donato: di sicuro sarà degno di encomio supremo chi deciderà di distribuirla, sotto qualsiasi forma.

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