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Nymphomaniac - Volume 1 - Recensione

Primo volume dell'attesissima opera di Lars von Trier: pur nella inevitabile parzialità del giudizio Nymphomaniac ci regala un regista brillante, in gran forma, che sfoggia genialità e cultura al limite della raffinatezza

“Questa è una versione censurata di Nymphomaniac cui non ha lavorato il regista”, poi schermo buio per due interminabili minuti prima che la scena iniziale del film prenda corpo. Bene, come inizio non c’è male; e come non bastasse la scellerata scelta della distribuzione italiana di proporre l’opera in due parti in due diverse date (il Volume II uscirà a fine mese), ora sappiamo per certo che il film 'vero', quello sotto al quale c’è la firma di Lars von Trier, della durata complessiva di cinque ore e mezza, vedrà la luce (si spera) solo tra qualche mese.
Come provocazione iniziale non c’è proprio di che lamentarsi: Nymphomaniac, versione censurata, insomma nasce come una operazione di sfoltimento delle scene più esplicite da parte dei montatori, cui il buon Lars si è disinteressato e siccome si dice che la versione completa, dal punto di vista strutturale non aggiunge nulla, c’è da credere che i novanta minuti mancanti siano in realtà una sorta di film porno incastonato nell’opera completa.
E’ chiaro che per il giudizio complessivo del film si rimanda alla fine della visione del Volume II: troppo intimamente connessi sono i due segmenti, facenti parte di un unicum, sebbene diligentemente suddiviso in capitoli, per poter esprimere un giudizio seppur parziale.
La donna (Joe) giace sul selciato sotto la fine nevicata, il volto tumefatto, esanime. Seligman, distinto uomo di mezza età dai gesti pacati, la soccorre e la porta a casa sua.Che la sessione psicoanalitica abbia inizio: “Sono un essere umano spregevole”, dice Joe, e messo da Lars von Trier nella bocca di una donna strappa quasi il sorriso. “Ho scoperto la mia fica a quattro anni”, dice sempre Joe e mette il punto di origine al racconto che “temo alla fine abbia anche una morale” ribadisce ancora la donna.
Via al racconto tra la verginità persa “buttata come un sacco di patate con tre colpi davanti e cinque dietro”, similitudini ardite impartite da Seligman basate sulle tecniche di pesca, gare a chi si “scopa“ più uomini sul treno, sceneggiate di donne nevrotiche che ritengono Joe una rovinafamiglie (prodigiosa la prova di Uma Thurman nei dieci minuti sullo schermo), il tenero rapporto col padre fino alla sua morte (unico momento intensamente drammatico del film), amplessi sparsi qui e lì quasi come le pecorelle dell’intervallo, si cita Fibonacci e la sua successione di numeri, immagine della perfezione, lungo rincorrersi e incrociarsi dei significati del sesso e dell’amore, battute geniali, con la inconfondibile firma del regista, sul fondamentale distinguo tra antisionismo e antisemitismo e per finire, proprio all’epilogo di questo Volume I, una dissertazione musicale filologica su Bach e la polifonia con la quale, attraverso il concetto di Cantus Firmus, si esplica l’intersezione perfetta tra sesso e amore.
Detta così sembra una sorta di delirio senza senso, invece la struttura narrativa è fin troppo armonica, magnificamente strutturata e soprattutto fortemente brillante: tutto è raccontato col ghigno sarcastico e con leggiadria, al punto che, almeno per questa prima parte, Nymphomaniac può e deve definirsi come una commedia, quasi sofisticata.
Il film è tutto nel racconto delle gesta della giovane Joe; la matura Charlotte Gainsbourg ci degnerà delle sue gesta da ninfomane solo nel secondo volume e la curiosità di capire come questa struttura ricca di armonia narrativa evolverà nel prosieguo è veramente spasmodica: proseguirà Von Trier in questo gioco a metà tra il racconto pruriginoso e la psicoanalisi in toni brillanti o prima o poi si assisterà alla deflagrazione del racconto? Lo scopriremo tra poco più di quindici giorni.

Per ora Lars von Trier vince a mani basse la sua personale guerra con i detrattori schierati contro la sua folle genialità. Abbiamo capito che Nymphomaniac non vive sulle atmosfere quasi gotiche di Antichrist e né su quelle cosmologiche di Melancholia: in fondo alla Trilogia della Depressione c’è una luce chiara e accecante, quella di chi non si prende troppo sul serio.

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