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Allacciate le cinture - Recensione

Ritmi lenti e temi ormai decisamente abusati: Allacciate le cinture, il nuovo film di Ferzan Ozpetek, racconta il tempo e l’amore. Una storia come tante, in cui è la bravura degli interpreti a fare la differenza

L’amore vince su tutto, anche su un male che sembra più forte di ogni cosa. L’amore, quello vero e incondizionato tra due persone che rappresentano l’uno per l’altra gli opposti che si attraggono, dura nel tempo e resiste a tanti duri colpi. Non esiste qualcosa, nel nuovo film di Ferzan Ozpetek dal titolo Allacciate le cinture, che non sia stato già detto e ridetto in tutte le salse.
Elena (Kasia Smutniak) e Antonio (Francesco Arca) vivono una passione travolgente e proibita. I due sono, infatti, già accoppiati rispettivamente con Giorgio (Francesco Scianna) e Silvia (Carolina Crescentini). Nonostante tra le due donne ci sia un’amicizia di lunga data, il sentimento finisce per prevalere e imporsi a tutti.
Nonostante la banalità dei temi e il ritmo spesso lentissimo, emerge la forza di molti attori. La Smutniak (che ha addirittura deciso di dimagrire in maniera impressionante per meglio interpretare la seconda parte, quella in cui la protagonista affronta il cancro) riesce a dare un’impronta personale alla storia, facendosi coinvolgere completamente dal personaggio di Elena. Carla Signoris ed Elena Sofia Ricci interpretano due signore di mezza età (madre e zia della protagonista) che fanno da spalla, ma insieme a tutti gli altri interpreti contribuiscono alla realizzazione di una storia corale, in cui ogni personaggio non è accennato, ma si presenta al pubblico mettendo a nudo i propri pregi e difetti. Unica nota stonata Francesco Arca, alla sua prima prova sul grande schermo (e può bastare così!): se Ozpetek intendeva il suo personaggio come una bella statua muta, l’intento è riuscito benissimo. Persino il monoespressivo Gabriel Garko de Le fate ignoranti era riuscito a trasmettere qualche emozione, ma in questo caso siamo ben lontani da quel genere di interpretazione.

L’idea di andare su e giù nel tempo, offrendo un finale meno mediocre rispetto all’intera storia, funziona abbastanza bene. Anche l'intento di alternare pianto e risate (per dimostrare che alla fine la vita è un grande calderone in cui si mischia tutto) non sarebbe così male, se però le situazioni non fossero sempre così smielate e prevedibili.

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