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Michael

Una immagine tratta da MichaelOpera prima del regista austriaco Markus Schleinzer, presentata nel 2011 al Festival di Cannes. Il film deve essere sgradevole e ci riesce. Qui l’effetto speciale è l’ossimoro

Michael  rientra a casa in auto, aziona la saracinesca del garage, sale in cucina, ripone la spesa e frigge carne unta per cena. Apparecchia per due. Poi scende al piano inferiore.
Comincia così l’incubo gelido di Markus Schleinzer, con la routine di gesti comuni che rimandano a una normalità che subito stride, già negata dagli infissi automatizzati, insonorizzati e blindati della casa bunker. Anche la cantina è sprangata... quando la serratura scatta lui dice  "vieni"  e da un'oscurità muta, che sembra non finire mai, emerge un bambino biondo. A seguire saranno giorni fatti di notte e luce artificiale perché questa è la storia di un pedofilo e della segregazione della sua vittima.
Schleinzer ha lavorato come responsabile del casting per molti registi suoi connazionali (Michael Haneke compreso) e il modo asciutto e grattugiante del cinema austriaco gira in quest’opera prima. In scena non c’è il Mostro, bensì un omuncolo scialbo, emozionalmente frigido, zelante e distaccato sul lavoro, superficiale nei rapporti familiari e sociali. Il prigioniero è un 'attrezzo' da usare al bisogno, quindi necessita di 'buona manutenzione' e Michael (interpretato da un ottimo Michael Fuith) provvede: cibo, giochi, tv, ora d’aria, neve (gliela raccoglie a secchiate dal giardino), canti, regali e addobbi per Natale; è pronto sia a trovargli un compagno di stanza adescando la nuova preda alla pista dei go-kart, che a scavare, in via precauzionale, una fossa nel bosco quando il bambino si ammala.
L'orrore non viene mostrato direttamente, ma è sempre in scena, perché la violenza, bandita allo sguardo, sta dietro – e dentro! – quello scorrere di atroce quotidianità; alberga nei vuoti tra un atto e l'altro, tra una spazzolata ai denti e un film alla tv. Tocca a chi guarda riempirli e questa 'partecipazione' obbligata è terribile.
Gli eventi poi prenderanno una via inaspettata e la banalità del male capitolerà in banalità del Caso, con accelerazione di ritmo e angoscia sul finale.
L’occhio di Schleinzer, che parrebbe un invisibile registratore di eventi, ha invece sguardo forte: raggela una materia già agghiacciante di suo fino a farla stridere, procedendo per sovrapposizioni, accostamenti, contrapposizioni d'immagini di per sé ordinarie che però cozzano con il contesto e sbattono contro il proprio significato – si veda anche la colonna sonora e l'uso di Sunny, la canzone di Bobby Hebb, poi ripresa in chiusura sull’ultimo fotogramma al nero – come fossero un'incessante sequela di 'crash'. Una breve sequenza su tutte: Micheal porta il bambino allo zoo per l'ora d'aria: mentre stanno salendo un sentiero, incrociano un padre e un figlio che scendono: per un istante sullo schermo sembrano la stessa cosa, anche se gli uni sono il negativo degli altri.  

Michael è l'anatomia di un incubo che mette a disagio non tanto (e non solo) per l'orrore in sé, quanto per la sua (possibile) ipocrita, straziante quotidianità senza fine.

Il film è disponibile in DVD con sottotitoli in inglese su Amazon.com.

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