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La faida

Una immagine del film La faidaStoria di adolescenti con lo sguardo verso il futuro ma incatenati da un codice atavico tribale che cambia la loro vita in maniera indelebile. Joshua Marston usa il suo sguardo da antropologo ma senza dare una verve narrativa adeguata

Dopo la Colombia di Maria Full of Grace, l'occhio antropologico del regista americano Joshua Marston si posa, nove anni dopo, sull'Albania, fanalino di coda dell'Europa che stenta ad agganciarsi al carro, seppur sgangherato, del Vecchio Continente; e anche stavolta lo fa raccontando una storia di adolescenti che hanno lo sguardo verso un futuro incerto e tecnologico, ancorati però alle ancestrali regole tribali che regolano i rapporti della società rurale.
Il diciassettenne Nik scopre sulla propria pelle il codice cinquecentesco del Kanun che regola le dispute tra clan avversari in occasione di fatti criminosi: il padre è accusato di avere ucciso un vicino di casa per motivi di proprietà terriere e il giovane deve sottostare alle arcaiche regole del codice che consentono alla famiglia del morto la vendetta verso un elemento maschio della famiglia dell'assassino.
Il padre si dà alla macchia e la famiglia viene stravolta nelle sue regole: maschi asserragliati in casa, donne al lavoro per portare a casa la pagnotta, adolescenza ferita non solo per Nik ma anche per la giovane sorella Rudina che ben presto deve fare ricorso alle sue doti imprenditoriali nascoste.
E' un racconto di contrasti tra tradizione e voglia di emancipazione sociale, in cui le vittime sono i giovani protagonisti che vogliono rifiutare l'atavico codice ricco di postille e di regole, ma è anche una storia di famiglia percorsa da contrasti generazionali che non possono non concludersi con un gesto estremo e a suo modo drammatico.

Lo studio, meta antropologico, metà archeologico, che Marston mette su pellicola dopo una lunga genesi, ha le sue qualità, anche se il film (vincitore dell'Orso d'Argento per la migliore sceneggiatura al Festival di Berlino 2011) non sempre riesce a coinvolgere in modo completo, troppo spesso impelagato in un immobilismo narrativo che fa ristagnare la storia che a sua volta tende troppo spesso a rimanere in superficie senza andare ad indagare nel profondo dei protagonisti, esclusa forse la figura di Rudina, sicuramente la meglio riuscita. Apprezzabilissimo l'esordio dei due giovani attori protagonisti Tristan Halilaj e Sindi Lacej, passati direttamente dai banchi di scuola al set cinematografico.

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