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Il Cammino per Santiago

Una immagine tratta da Il Cammino per SantiagoEmilio Estevez torna nella terra dei propri avi e affronta il tema dell'elaborazione del lutto con intento, a monte, sincero, aiutato dall'ispirato babbo Sheen. Ma sulla via per Santiago troppe cose non tornano. Si sbadiglia ad oltranza

La trama è presto detta. Sui verdi campi da golf della California s'abbatte, tra capo e collo dell'oculista Tom, una saetta funesta: dal cellulare apprende della morte, al di là dell'oceano, del figlio quarantenne colto da improvvisa tempesta sulla via per Santiago de Compostela, nota meta di pellegrinaggio (di fede e non), così vola sui Pirenei, lo fa cremare e decide di camminare per lui, o meglio, con lui, trasportandone le ceneri fino a destinazione; strada facendo incontrerà tre viandanti e, benché d'indole burbera e schiva, viaggerà insieme a loro sino alla fine. Le asperità caratteriali, va da sé, si stempereranno on the road.
Emilio Estevez è figlio del protagonista Martin Shenn – il film è dedicato al nonno paterno originario della Galizia – e l'amoroso afflato si sente, sicché l'ispirazione, a monte, della pellicola giunge sincera quando rappresenta il dolore della perdita, grazie  anche all'interpretazione senza pecche di Sheen. Detto questo purtroppo, a parte la godibilità del paesaggio attraversato e la buona fotografia – ma il cinema non è documentario –, tanta roba molesta salta al naso di brutto. Occhieggia sovente una fastidiosa retorica: perché, ad esempio, costellare il cammino del padre con le apparizioni del figlio (che lo saluta, che brinda, che ammicca, ecc...) a mo' di ridondanti santelle fantasmatiche? È già chiaro ove batte il pensiero che duole: perché mai caricare in tal modo? I personaggi comprimari e di contorno sono spesso enfatici, sopra le righe, forzati (lo scrittore irlandese, per dirne uno), così alcuni dialoghi (la sfuriata-monologo dello scrittore, la diatriba su Carlo Magno, la ramanzina-pippone dello zingaro, per dirne tre), così molte, troppe, situazioni della trama (l’incontro con l’oste matto, l'intermezzo con l'oste toreador, il fermo di Tom nel posto di polizia – le manette? tsk! –, il furto dello zaino, la festa zingara, i fiumi d'incenso a volo d'uccello nella cattedrale di Santiago...). Inoltre, a tratti, pare che all'occhio del regista si sovrapponga quello del turista preso dalla foga di fotografare più folclore possibile per mostrarlo poi agli amici a casa.

Insomma: i difetti pesano molto, La Via Lattea è lontana (detto solo per ricordare un altro, ben diverso, viaggio verso Santiago, quello di Luis Buñuel) e la strada che porta al Cinema ancora lunga da percorrere.
Buen camino, Estevez!

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