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Uomini di Dio

La locandina di Uomini di DioUna comunità di monaci cristiani nel mirino dei fondamentalisti islamici nell’Algeria degli anni Novanta. Xavier Beauvois filma la cronaca di una tragedia annunciata: quella in cui persero la vita sette frati francesi, rapiti ed uccisi in nome della religione da un gruppo di terroristi. Gran premio della giuria al 63esimo Festival di Cannes
Algeria, anni Novanta. In cima alle montagne magrebine sorge un monastero abitato da otto monaci cistercensi francesi che, in assoluta armonia con la popolazione musulmana, conducono uno stile di vita contemplativo in mezzo alla natura. Nel corso degli anni i frati sono riusciti a guadagnarsi l’affetto, la stima ed il rispetto delle comunità dei villaggi circostanti: grazie allo spirito caritatevole con cui si sono sempre presi cura delle necessità quotidiane dei più bisognosi, sono diventati un punto di riferimento riconosciuto per molti abitanti. Le cose cambiano per loro quando il Paese sprofonda in un clima di terrore alimentato da un gruppo di fondamentalisti ostili ai cristiani, che semina morte e distruzione per andare al potere e favorire un processo di islamizzazione della società. Ben consapevoli del pericolo di finire massacrati in nome della religione per mano dei terroristi, i monaci si ritrovano di fronte ad un dilemma: devono decidere se andare via e tornare in Francia o restare e continuare ad aiutare la popolazione autoctona senza distinzioni di sorta tra le fazioni in lotta. Dopo un periodo di riflessione, alla fine scelgono di rimanere al fianco del popolo algerino. La loro decisione avrà conseguenze terribili.

Ritratto di uomini animati da una profonda fede, buoni, generosi ed inflessibili. Non a caso Uomini di Dio è il titolo del film di Xavier Beauvois (Gran premio della giuria al 63esimo Festival di Cannes) che ne ricostruisce il messaggio di pace, oltre che l’esperienza spirituale ed umana, nella cornice di un orribile evento realmente accaduto: la tragedia di Tibhirine del 1996, quando sette monaci francesi di unUna scena del film monastero vennero rapiti e poi barbaramente uccisi da alcuni membri del GIA (Gruppo Islamico Armato) nell’Algeria devastata dal terrorismo di matrice fondamentalista.
Storia sconosciuta ai più, assurda e dolorosa vicenda di uno scontro tra principi umani e religiosi diversi, di cui Beauvois rende conto evitando la retorica dei buoni sentimenti. Mai sopra le righe, il racconto riassume gli ultimi mesi della drammatica esperienza pastorale vissuta dai religiosi all’interno del loro piccolo microcosmo. Tutto è visto attraverso gli occhi dei protagonisti, così come, attraverso il loro sguardo, sono visti i drammi singoli delle persone che li attorniano. Il merito del regista e del suo linguaggio minimalista sta nell’aver saputo portare sul piano universale un problema confinato negli abissi individuali, in un equilibrio perfetto di stile, tecnica e scrittura che sa suscitare un’atmosfera solenne e tesa intorno ai personaggi ed un vigore emozionale pienamente convincente.
Asciutta semplicità in senso narrativo, stile secco senza manierismi, un modo raro ed intenso di guardare la realtà dentro lo schermo: la regia di Beauvois è ammirevole. Pur non uscendo dai terreni battuti del contributo alla memoria e della rievocazione catartica con un occhio all’oggi (vedi certi attriti tra il mondo islamico e quello occidentale), dosa stati d’animo e tensioni provocando emozioni (e riflessioni) da cui non ci si libera nemmeno a film terminato.

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