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A vida invisivel - Recensione (Festival di Roma 2013 - Concorso)

Dal Portogallo un film che rimane per molti un mistero, un buco nero inespugnabile: un'idea di veterocinema in cui conta solo l'idea e non la forma o la sua esplicazione

La sottile linea rossa che unisce la gran parte dei lavori presentati in Concorso in questa prima metà del Festival del Film di Roma 2013 è costituita dal tratteggio oscuro dei protagonisti delle storie: esistenze silenziose, buie, spesso squallidamente ordinarie, motivo per cui il protagonista e tutta la vicenda raccontata in A vida invisivel del portoghese Vitor Gonçalves non crea alcun tipo di sorpresa, semmai quello che lascia il povero spettatore interdetto (è un chiaro eufemismo) è l'assoluta ermetica illeggibilità di quanto sta osservando.
Sin dall'inizio Hugo, il protagonista, un melanconico e taciturno impiegato, appare attanagliato da un travaglio emotivo scaturito dalla visione di alcuni filmini in Super8 del suo anziano collega Antonio, morto qualche giorno prima. Antonio appare come una sorta di mentore del giovane, un personaggio al quale si intuisce che Hugo si appoggia spesso.
Il racconto procede tra balzi temporali in cui il protagonista racconta del collega e situazioni che con snervante lentezza si (ri)propongono, quale l'incontro dopo anni con una sua ex fidanzata con la quale sembra voler nuovamente riprendere una vita in comune. Alla fine, dopo che la faccia dell'uomo ha subito pochissime variazioni mimiche nel corso del film, un breve, sfocato ghigno chiude il racconto.
Lo spettatore se ne può andare, maledicendo la spesa del biglietto, alcuni critici si affidano all'esodo di massa dalla sala pensando di passare inosservati, altri, quelli con il classico senso del masochismo, aspettano il guizzo finale che naturalmente non arriva: A vida invisivel rimane per molti un mistero, un buco nero inespugnabile, una idea di veterocinema in cui conta solo l'idea e non la forma o la sua esplicazione. E alla fine non rimane che lo stridio delle unghie sul vetro nel tentativo di riuscire a raccontare qualcosa che non si può viceversa narrare: neppure l'esplorare le sottotracce più immaginifiche serve (cripto-omessualità, incomunicabilità patologica), ed il film scivola via, tra interrogativi che durano pochi minuti, il tempo di cambiare sala.

Qualcosa di buono nel lavoro di Gonçalves? Le vecchie case di Lisbona, la piazza rimessa a nuovo e quei filmini vintage sfocati da preistoria audiovisiva, forse di Fiordi norvegesi: bastava comprare una rivista di turismo e avremmo ottenuto lo stesso risultato.

Vai alla scheda del film

 

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